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The Game - Intrigo all'Italiana

Summary:

Una serie di intrighi, di coppie, di alleanze con protagonisti politici italiani (e forse non soltanto loro).
Per chi vive dentro i palazzi del potere è come un grande "Gioco", che ha come obiettivo quello di mantenere un proprio spazio di potere e di sopravvivere.
Se si arriva a certi livelli è inevitabile rimanere coinvolti, in un modo o nell'altro e ritrovarsi magari a riconoscersi nei propri avversari, perchè loro sono soli quanto te.
Se poi la realtà è sull'orlo dell'apocalisse, non è poi così brutta l'idea di andarsene in compagnia...

(Attenzione: Tag, coppie e personaggi cambieranno nel corso del tempo, controllate sempre prima di leggere il capitolo)

Notes:

Per molto tempo non ho saputo spiegarmi perchè mi piace tanto immaginare le fanfiction tra personalità politiche. Poi in realtà una risposta me la sono data, ma non voglio rivelarla adesso. Ho scritto nel tempo molte storie, e alcune le ho pubblicate e poi cancellate. Ho deciso di riprovare, approfittando anche dell'anonimato fornito da AO3. Inutile dire che tutto quello che racconto è frutto della mia fantasia (malata) e che è probabilmente impossibile che quanto raccontato accada nella realtà; questa è solo una storia scritta per intrattenere chi la legge. E spero che ci riesca.

Chapter 1: 26 settembre 2023 ore 15

Notes:

(See the end of the chapter for notes.)

Chapter Text

Cover

 

Se dovessi scegliere una data… sceglierei il 26 settembre. Per me è stato quello il momento in cui sono entrata nel ‘Gioco’. Anche se ancora non sapevo della sua esistenza.” E.S.

26 settembre 2023

Ore 15

 

Quando vide la finestra aperta sul corridoio, Elly Schlein non ci pensò due volte a uscire nel balcone.

Una volta lì si appoggiò al parapetto e prese un profondo respiro. Poi un altro e un altro ancora.

A occhi chiusi.

Fortunatamente era un trucco che funzionava sempre. L’aiutò a calmarsi quasi subito.

La finestra dava su un cortile interno; un giardino splendido illuminato dal sole dell’ottobrata romana, contribuì ancora di più al riprendersi del suo umore.

 

“Non sei capace Elly. Ne sei consapevole, vero?”

 

Le parole le rimbombavano nella testa, ma non facevano più tanto male. In fondo, cos’altro avrebbe potuto aspettarsi da un uomo così?

“Torniamo al lavoro.” Pensò. Si girò per rientrare e solo allora si accorse della sua presenza.

Lei stava poggiata tra il muro e il parapetto, con una sigaretta tra le dita e l’osservava con quello che, Elly se ne stupì, sembrava un sorriso.

Indossava un vestito chiaro, perfetto per quella giornata che pareva estiva.

Elly rimase immobile, imbarazzata, indecisa se scusarsi o salutare. Fortunatamente, fu lei a toglierla dall’imbarazzo: “Onorevole Schlein.” Disse con un tono chiaramente sbeffeggiante, al quale però seguì la testa chinata.

Elly la imitò, ma senza sorridere: “Presidente Meloni.” Era sul punto di andarsene, ma Giorgia Meloni la fermò con una frase.

“Voglio tirare a indovinare: Matteo Renzi.” E sul nome calcò il tono in modo da farlo sembrare quasi un rantolo e il suo sorriso si tramutò in un ghigno, curiosamente complice.

Elly Schlein non riuscì a trattenersi e sorrise a sua volta, abbassando lo sguardo.

“È così evidente?” domandò. Anche se non era sicura di fare la cosa giusta a scegliere di continuare quella conversazione.

“Considerando che sono qui più o meno per lo stesso motivo... molti passano di qui, ho notato, dopo aver parlato con lui, ormai c’ho fatto il callo.” Disse Giorgia dopo aver preso una boccata dalla sigaretta. Poi tirò fuori il pacchetto dalla tasca e lo porse a lei: “Queste aiutano a riprendere fiato, dopo un incontro così.”

Quell’atto di inaspettata gentilezza, sorprese Elly. Osservò il pacchetto sospettosa, poi guardò dritta negli occhi la sua avversaria.

“Ah giusto, tu non fumi.” Il “tu” venne calcato pesantemente e Giorgia esibì un ghignò di sfottò mentre tirava indietro la mano.

Elly incrociò le braccia e scosse la testa. Poi si frugò nella tasca e recuperò un pacchetto.

Non erano sue, in realtà. Le aveva prese per un collega. Ma si era resa conto che forse, fuori dai banchi della camera, avrebbe potuto avere qualche informazione in più. Era un’occasione da non perdere.

Aveva sentito dire che, quando era sola, Meloni abbassava le sue difese. In più non voleva dargliela vinta per quel piccolo sgarbo. Osservandola di sottecchi, notò che il presidente la osservava sorpresa. Un punto per lei. Finse di cercare un accendino e non trovarlo. Allora si rivolse a Giorgia: “Hai da accendere?” prendendosi così la libertà di utilizzare anche lei il "tu" informale.

Giorgia Meloni socchiuse gli occhi e la scrutò per diversi secondi; poi le porse il suo accendino.

Elly si accese la sigaretta e prese una bella boccata di fumo. Riuscì a non tossire. Non aveva mai preso l’abitudine, ma non aveva dimenticato come si faceva.

“Bella recita.” Disse allora Meloni, buttando la cicca oltre il parapetto e prendendosi un’altra sigaretta “Stai mettendo a rischio la carriera per questo. Se ci vedessero, potrebbero parlare di inciucio; ne sei consapevole?”

“Penso valga anche per te.”

“Oh no. Io i miei li tengo per le palle.” Diretta, decisa, e di nuovo quel ghigno. Schlein odiava ammetterlo, ma le piaceva molto questo, di lei. Il fatto che, bugia o verità che fosse, Meloni sapeva essere così diretta, lo vedeva proprio come un plus, una capacità non indifferente e non solo per il mondo della politica.

“Io non ho bisogno di arrivare alla violenza.” Replicò Elly, calma.

“Beh, dovresti iniziare a considerarla come opzione.” La liquidò Giorgia Meloni, girandosi verso il giardino e appoggiandosi direttamente sul parapetto.

Elly Schlein stava per andarsene, ma le venne una curiosità: “Perché hai incontrato Renzi?”

“Questioni personali. E tu?”

“Questioni personali.”

Palla al centro. Inutile scoprire le carte se anche l’altra si tratteneva.

“Posso farti una domanda?” chiese Giorgia voltando la testa. Elly annuì.

“Ma era così odioso anche al potere?”

Elly fece le spallucce: “Mi sono tolta il piacere di scoprirlo, lasciando il PD per diversi anni. Probabilmente tu lo sai meglio di me, visto che eri sempre presente a ostacolarlo.”

Giorgia Meloni sorrise. Questa volta un sorriso più asciutto, quasi cattivo. Non c’era nulla da fare, pensò Schlein: anche quando sorrideva sembrava veramente aggressiva.

“Beh, io ho fatto il mio lavoro di opposizione.” Si girò e assunse una posizione strana: stava poggiata di schiena al parapetto, tenendo le braccia distese e le gambe incrociate.

“Un ottimo lavoro. Forse dovevi restare lì, visto che ti riesce così bene.” Elly si morse la lingua. Ma vedendo gli occhi sgranarsi della sua avversaria, pensò di aver colpito nel segno e si sentì soddisfatta.

Giorgia Meloni, ghignò di nuovo: “Sai, i miei ti avevano dato due settimane di vita, quando sei stata eletta. Ora capisco, perché sei ancora dove stai.”

“Lo prendo come un complimento.”

“Lo è; certo, scegliere una queer donna come mia avversaria è proprio una mossa di sinistra.”

“Non biasimare la comunità queer. Dopotutto, anche la tua scelta di mantenere tutto al maschile può essere vista come queer.”

“Bene, più voti per me allora.” Lasciò andare il parapetto e si avvicinò. “Sono della tua compagna, le sigarette?”

“Di un collega.”

“Ah. Allora forse quei cioccolatini dell’altra volta erano per lei.”

“Vorrei che Paola restasse fuori dalle nostre conversazioni. Non si occupa di politica.”

“Stiamo facendo politica qui?”

“Tu che ne dici?”

“Toglimi questa curiosità, sei tu il maschio della coppia?”

Elly si irrigidì. Era preparata, se l’era sentito dire altre volte. Ma le dava sempre fastidio. Soprattutto quando sapeva che era detto di proposito per provocarla.

“Comprendo l’esistenza del mito” rispose, cercando di non scomporsi “e forse in alcune coppie si creano dei ruoli di questo tipo. Ma non è il nostro caso. Siamo due donne che si amano. Tutto qui.”

“Io sarei l’uomo. Lo so già.”

Elly fu colta in contropiede da quella considerazione. Meloni continuava a sorridere e fece un altro passo per avvicinarsi a lei.

“Sì. Se dovessi far parte di una coppia omoerotica femminile, sarei sicuramente l’elemento maschile.”

“Coppia saffica, o lesbo.” La corresse Elly. E aggiunse: “Se tu stessa hai indagato questa possibilità, perché sei così ostile alla comunità LGBT?”

“Non sono ostile alla comunità di per sé” disse allora Giorgia fissandola e tornando aggressiva “Ma alla loro pretesa di essere qualcosa che non possono essere. La famiglia è un’altra cosa.”

“È un discorso che non ha senso.”

“E voi allora? Ha senso che non ci sia neanche il ruolo maschile tra di voi? Non ne sentite la mancanza?”

“No. E non credo, nè pretendo, che tu possa capire qualcosa che non hai mai neanche sperimentato.”

Elly non riuscì a difendersi, tanto fulminea fu l’azione: Giorgia l’afferrò per le spalle, la spinse contro il muro e, stringendola forte, le diede un bacio. Un bacio vero.

Elly rimase immobile per lo shock: percepì il corpo gelarsi al punto da non rispondere più ai suoi comandi. Sentì la lingua invaderle la bocca con prepotenza, un bacio abile ma violento. Il cuore accelerò il battito e il gelo lasciò il posto a uno strano calore. Quando trovò la forza per respingerla, Giorgia si distaccò per conto suo e le sussurrò a filo di labbra: “Chi ti dice che io non abbia mai sperimentato?” prima di ansimare per riprendere fiato.

Elly fu sul punto di colpirla, ma Giorgia fu rapida a bloccarle le braccia per i polsi.

Elly pure ansimò dimenandosi, incerta se scalciare o no.

“Continuiamo questa conversazione nel mio ufficio. Stasera alle otto. Puntuale.” La voce era ancora un sussurro ma il tono era imperioso e freddo. Giorgia Meloni lasciò andare la presa e con passo rapido rientrò nel corridoio, lasciando Elly con la schiena contro il muro e il cuore ancora pulsante.

 

Notes:

L'immagine che vedete è stata realizzata con l'IA dall'unica persona che nella realtà sa di questa mia follia

Chapter 2: 26 settembre 2023 ore 20

Chapter Text

26 settembre 2023

Ore 20

 

Aveva pensato a quel bacio tutta la giornata.

Un atto di potere e di violenza, non c’erano dubbi.

Eppure avrebbe avuto così tanti modi per ferirla, perché sceglierne uno così… poco ortodosso? Intimo?

Aveva cercato fino all’ultimo di lasciar perdere tutto e semplicemente non presentarsi all’appuntamento. Ma uno strano e viscerale senso di rabbia l’aveva spinta ad andare. Aveva anche una scusa: le avrebbe lasciato quel fottuto pacchetto di sigarette, che aveva voluto ricomprare per il collega, perché dare un pacchetto aperto pareva brutto e perché col cavolo che avrebbe raccontato a qualcuno…

“Tutto bene Elly?”

Per poco non gli finì addosso: Giuseppe Conte era comparso nel corridoio, o forse era già lì ma lei proprio non si era accorta di lui.

“Oh! Buonasera. Sì, tutto bene.”

“Stai andando dal nostro presidente?” Conte pronunciò l’ultima parola con una punta di disprezzo, o almeno così sembrò a Elly.

“Sì! In effetti è proprio così! Abbiamo alcune cose da chiarire!”

“Io ci sono stato poco fa. Aveva accennato a un appuntamento…”

“Ruberò cinque minuti del suo prezioso tempo a smontare la sanità pubblica e poi tornerò a casa. Qualsiasi appuntamento abbia non la farò tardare.” Rispose Elly. Ovviamente nessuno doveva sapere che quell’appuntamento era per lei.

“Beh, auguri… Verrai alla manifestazione la settimana prossima?”

“Ovviamente.”

“Beh, ci vediamo lì.” Le sorrise.

Più lo conosceva, più Elly capiva perché era un uomo che piaceva tanto e perché comunque riusciva a farsi rispettare da tutti (e perché Renzi lo odiava). “Certo.”

“Dovremmo prenderci un caffè una volta.”

“Perché no?”

“Stai attenta Elly.”

Quel cambio improvviso di registro la stranì. Possibile che avesse capito?

“A cosa?”

“So che hai visto Renzi oggi… Stai attenta…”

Tirò un sospiro di sollievo. Anzi, scoppiò a ridere: “Ah! Lui non mi considera minimamente un problema! Ai suoi occhi sono un’incapace!”

“Lo aveva detto anche a me… All’inizio.”

Elly tacque. Non capiva dove volesse arrivare Conte. E non era neanche sicura di potersi fidare di lui.

“Beh, buona sera allora.” Conte chinò la testa e poi si incamminò nella direzione opposta.

Elly capì che forse quell’invito a prendere un caffè era molto più serio.

Ma non doveva pensarci in quel momento. Aveva cose più importanti.

Proseguì.

Bussò alla porta dell’ufficio.

“Chi è?”

“Elly Schlein.”

“Avanti!”

A pensarci bene, era la prima volta che entrava lì da che Giorgia aveva iniziato la legislatura; si lasciò la porta aperta alle spalle perché aveva tutta l’intenzione di andarsene.

“Sono qui solo per darle que…” si pietrificò per qualche secondo, poi corse a chiudere la porta.

Si voltò di nuovo: non si era sbagliata, aveva visto bene…

“Onorevole Schlein, buonasera.”

“Si metta qualcosa addosso subito! C’era Conte nel corridoio fino a poco fa!”

“Ammetto di aver pensato di mostrarmi anche a lui così… è un uomo che ha il suo fascino. Politicamente detestabile, ma umanamente perfetto.”

Elly cercava di non guardarla: Giorgia Meloni era seduta sulla scrivania completamente nuda.

“Non… so cosa voglia fare ma sono qui solo per dirle che…”

“Ci davamo del tu questo pomeriggio…”

“Insomma non ho intenzione di restare oltre!”

“Allora perché hai chiuso la porta invece di scappare via?”

Elly si pietrificò. Sentiva di nuovo il cuore battere impazzito e teneva gli occhi chiusi e il pacchetto di sigarette ancora in mano.

Giorgia Meloni si alzò e si avvicinò a lei. L’odore del suo profumo si fece improvvisamente forte. Ne aveva messo molto.

“Ti dico una cosa: sei la seconda donna che mi vede così fuori dalla mia cerchia familiare. Non farmi pentire di averti concesso questo…”

Elly arrossì senza rendersene conto. Le porse il pacchetto: “Puoi finirle tu.”

Giorgia sorrise, prese il pacchetto e andò a prendersi l’accendino. Si mosse in modo aggraziato, nonostante il corpo portasse i segni della sua età e del suo vissuto.

Elly cercò di non guardarla ma non potè farne a meno.

Il presidente tornò da lei e le offrì una sigaretta: “Su, prendine un’altra. Sapevo benissimo per chi le avevi prese. Ma non mi aspettavo che le sapessi fumare.”

“Al chiuso non si può fumare. È vietato.” Mormorò Elly rossa in viso.

“Non nel mio ufficio.” Mormorò Giorgia.

Elly cedette; prese la sigaretta e poi attese l’accendino.

Giorgia glielo porse già acceso; era evidente che stava utilizzando una strategia per costringerla a guardarla. Elly prese una lunga boccata di fumo e dopo averlo espirato si decise a guardarla negli occhi: “Perché.”

“Non ti capisco, Elly.”

“Sono io che non capisco te. Mi hai umiliata a sufficienza con quel bacio.”

“Oh? Ti sei sentita umiliata? Speravo in una sensazione diversa.”

“È stata una forma di violenza.”

“Questa definizione te la concedo, perché sì, ho usato la forza. Hai tutto quello che serve per parlare di molestia. Sarebbe però un discorso un po' difficile da fare…”

“Me ne vado.”

Elly si avvicinò alla porta ma Giorgia si appoggiò contro di essa. Ebbe modo di vederla bene. Notò che il suo fisico era ancora piuttosto bello, nonostante gli evidenti segni del tempo e della gravidanza.

“Non voglio che tu vada via, Elly.” Anche la sua voce sembrò addolcirsi in quel momento.

“Cosa vuoi da me esattamente?” domandò allora l’altra, cercando in tutti i modi di continuare a fissarla solo negli occhi e di non guardare la sua nudità, che pure, odiava ammetterlo, non le era affatto indifferente.

“Voglio finire il lavoro con te.” Rispose Giorgia.

“Che lavoro?!” chiese Elly.

“Hai parlato di esperienza… Beh, sappi che la mia si è estesa ben oltre un bacio. Non sono arrivata a pretendere, come hai fatto tu, che fosse una cosa normale, ma, come detto, non sei la prima a vedermi nuda… Come ti sembro a proposito?”

“Io…”

“Non fare la timida. Ho visto che mi hai guardata bene. Puoi farlo.” Aprì le braccia e fece un giro su se stessa “Come ti sembro?”

Ormai completamente rossa, sentendosi avvampare, Elly distolse lo sguardo. La sigaretta che teneva in mano si stava bruciando da sola.

“Stai molto bene…” trovò la forza di dirle. E lo pensava in qualche modo.

Non era perfetta, ma la trovava naturale, carina. Le aveva sempre attribuito un certo fascino e ora forse aveva anche capito da dove veniva.

“Wow! Che gran complimento!” esclamò Giorgia seccata “Non puoi dirmi qualcosa di meglio?”

“Ho sempre pensato che avessi fascino, e forse ora so perché.” L’accontentò Elly, con una punta di sarcasmo nella voce e continuando a guardare altrove.

Si aspettava che Giorgia le facesse qualche altra battuta, la sentì avvicinarsi. Le prese la sigaretta dalla mano, e dopo una lunga boccata le soffiò il fumo in viso. Elly tossì.

“Elly… Non faresti tutte queste storie se non fossi presidente, lo so benissimo… per favore… guardami e dimmi che ne pensi. Sul serio.” Le sussurrò. La voce aveva all’improvviso un tono più morbido, più dolce. Elly si fece coraggio e tornò a guardarla: se voleva umiliarla, forse era meglio rispondere con l’indifferenza, per quanto le fosse difficile. Perché no, non le era affatto indifferente. Più la osservava, più se ne rendeva conto.

“Non state male presidente, ma non siete il mio tipo.” Provò a dire Elly.

Giorgia scoppiò a ridere: “Che bugiarda!”

“Comunque non sarei io il vostro tipo.” Proseguì Elly abbassando di nuovo lo sguardo.

“Non svalutarti così…” le disse Giorgia prendendole entrambe le mani. Una presa delicata e al tempo stesso molto ferma. Elly provò a divincolarsi ma le dita si chiusero attorno ai polsi.

“Tu mi piaci Elly.”

Elly finalmente tornò a guardarla negli occhi. I suoi grandi occhi azzurri erano fissi su di lei ed erano serissimi.

“Presidente io…”

“Solo io” la interruppe Giorgia “posso sapere quello che hai passato per arrivare dove sei ora. Perché ci sono passata anch’io. E gli uomini della sinistra sono anche peggio dei miei. Perché quello che i miei mi dicono in faccia, i tuoi te lo sussurrano alle spalle. Quando sei diventata segretaria, tutti mi hanno detto che saresti durata due settimane, un mese al massimo. Sapevo che non sarebbe stato così e oggi me lo hai dimostrato. Lo sapevo perchè lo avevano detto anche di me… non capivano che già sopportandoli ero più forte di loro.”

Pronunciò quelle parole avvicinandola a lei e senza mai, neanche una volta, distogliere lo sguardo. Elly sentì il cuore iniziare a batterle forte. Non le stava mentendo.

“E la tua… la tua inclinazione, peggiora le cose, vero? Scommetto che non sono la sola persona che ti ha chiesto chi è l’uomo nella relazione, o se qualche volta avete una presenza maschile nel mezzo, visto che a te piacciono… Posso solo immaginare cosa hanno detto della tua bisessualità, per non parlare del fatto che sei di famiglia ebrea…” un sorriso abbozzato, questa volta però vero, non un ghigno. Non era aggressiva.

“Perché mi stai dicendo questo?” Elly sentì che la voce le tremava.

“Perché tu mi piaci. Non politicamente, sia chiaro, ma come persona? Ti considero un’ottima avversaria. Ma non credo che dovremmo solo farci la guerra.”

Giorgia l’attirò a sé e le cinse il corpo con le braccia. Ora poteva sentire il suo calore che veniva dal corpo completamente nudo. I loro volti erano molti vicini.

“Abbiamo molti più nemici in comune che opinioni contrastanti. Credimi… E almeno di te, so che mi sparerai sempre in faccia… quando dovrai farlo.” Le sussurrò sulle labbra, come pronta a baciarla.

Elly le mise le mani sui fianchi per spingerla via. Il cuore le batteva forte e gli occhi avevano iniziato a velarsi. L’ultima cosa che voleva era piangere davanti a lei.

Una cosa però era sicura: non si trattava di una semplice umiliazione.

“Cosa vuoi veramente da me?” chiese allora Elly.

Giorgia sorrise ma non rispose.

Le sistemò una sgualcitura della giacca: “Grazie mille per le sigarette. Se non vuoi approfondire niente, puoi andare. Ma sono sicura che tornerai. Ah, scambiamoci un numero privato. Vuoi?”

Ancora scossa, Elly annuì, perché comunque era un contatto che sarebbe potuto tornare utile.

Giorgia prese il telefono ed Elly fece lo stesso con le mani che ancora le tremavano. Lo scambio fu goffo e dovette ripetere il numero due volte per poterlo scrivere bene.

“Peccato comunque. Sarebbe stata una serata interessante. Ma avrò pazienza.”

“Continuo a non capire cosa vuoi da me.”

“Vuoi una richiesta esplicita?”

“Sarebbe il caso.”

“Vorrei un altro bacio.”

Elly si gelò: “Perché?”

“Perché sì.”

“Se ti do un bacio, mi lascerai perdere?”

“Sarai tu a non voler lasciar perdere me.”

“Ne dubito molto.”

“Mettimi alla prova.”

Era di nuovo di fronte a lei, braccia lungo il corpo, immobile in attesa.

Elly sospirò, con delicatezza le cinse il corpo con le braccia. Avvicinò il volto al suo. Giorgia chiuse gli occhi e dischiuse appena le labbra, ma Elly mirò alla fronte e le diede un bacio lì.

“Sii più precisa sul dove la prossima volta.” Sbottò lasciandola andare.

E prima che l’altra potesse fermarla, uscì dall’ufficio.

Chapter 3: 3 ottobre 2023

Chapter Text

“Sono in campo da molto più tempo della maggior parte di loro… Ho iniziato a capire presto come funzionavano le cose. Per uno come me, che dei sentimenti non sa che farsene, ma assolutamente capace di concedere e prendere qualunque cosa dove necessario, era la partita perfetta…” M. D.

 

3 ottobre 2023

Ore 14

 

Elly Schlein percorse il corridoio a passo deciso.

Alla fine l’avevano convinta a tornare a parlare con Matteo Renzi.

Non le faceva alcun piacere, ma dopo quella battuta pronunciata per salutarla con quel tono maligno, era decisa a non dargliela vinta.

In più, volendo, era stata proprio colpa sua se le cose poi avevano preso quella piega così orribile: se non l’avesse innervosita così tanto lei non sarebbe mai uscita su quel maledetto balcone, dando inizio a tutta quella serie di eventi che ora percepiva come catastrofici.

Aveva fatto del suo meglio per non pensarci, per non ricordare il bacio, né il corpo. Ma era praticamente impossibile.

Ogni tanto, come un flash, riviveva quelle scene. Il fatto che Giorgia Meloni non fosse molto presente in parlamento, non aiutava, perché puntualmente capitava di rivederla tra i corridoi, oppure alla televisione, o sui social, o sui giornali…

Un paio di volte aveva ricevuto un suo messaggio privato. Niente di compromettente: una volta le aveva scritto “Prova, sei tu Elly?”, a cui aveva risposto con un “Ovvio”, un’altra volta l’aveva punzecchiata sulla sua presenza alla manifestazione “Bello vedere in strada la sinistra, mi auguro ci resti.” In quel caso, Elly non aveva risposto. Ma la mente era tornata inevitabilmente a quel momento.

 

“Tu mi piaci Elly”

 

No, sicuramente quelle parole non avevano nulla di sincero, erano solo una forma di presa in giro o peggio di manipolazione, un gioco pericoloso per umiliarla o per metterla nei guai.

 

“Solo io posso sapere quello che hai passato per arrivare dove sei ora.”

 

Poteva anche crederci, ma solidarietà da parte sua era impossibile.

Doveva dimenticarsi quanto accaduto e vederlo per quello che sicuramente era: un tentativo di umiliazione a cui lei aveva risposto pure con troppa dignità.

Era talmente concentrata nei suoi pensieri che non si accorse che la porta dell’ufficio di Renzi, distante ormai pochi passi, si stava aprendo e ci andò quasi a sbattere contro.

Quando la stessa si richiuse, davanti a lei comparve proprio l’ultima persona che si aspettava di vedere.

“P-Presidente Draghi?”

Mario Draghi, visto dal vivo, era ancora più alto e magro, e in quel momento quasi torreggiava su di lei. Impeccabile come sempre nel suo abito elegante di sartoria, l’uomo le fece un sorriso, ma i suoi occhi oltre le lenti degli occhiali non mostravano alcuna gioia.

“Non sono più presidente da un po', onorevole Schlein.” Lo disse con voce piatta, atona, gelida.

Elly Schlein non aveva mai avuto particolari contatti con Mario Draghi: quando era rientrata nel PD a fine 2022, lui stava già lasciando la sua carica di primo ministro per cederla a Giorgia Meloni; e nella sua esperienza da europarlamentare, dal 2014 al 2019, lo aveva incontrato giusto da lontano nelle riunioni plenarie in cui lui si era presentato come presidente della BCE. A ben pensarci, era la prima volta che si vedevano dal vivo così da vicino. Il fatto che l’avesse riconosciuta subito era abbastanza sorprendente.

“Però il destino avrebbe potuto scrivere una storia diversa, se ci pensa… Io sono stato uno dei papabili tra i candidati come presidente della repubblica.” Aggiunse l’uomo sempre con quel tono calmo e robotico.

Elly Schlein si sorprese per quella dichiarazione.

“Lei è entrata dopo la rielezione di Mattarella, se non sbaglio. Suppongo che lei non sarebbe stata tra i miei votanti e che non lo sarà nemmeno alle prossime elezioni presidenziali.” Proseguì lui e con la mano destra si sistemò il colletto della camicia.

Elly si rese conto che iniziava a far fatica a reggere il suo sguardo: non riusciva a capire la sua espressione e la cosa la inquietava molto.

“Non abbiamo in effetti le stesse idee su come dovrebbe funzionare l’economia.” Disse la donna “Non lavoreremmo bene assieme.”

Mario Draghi fece un cenno con la testa, come per annuire, ma tornò nuovamente a fissarla: “La capisco, ma a volte perché le cose vadano per il verso giusto è meglio mettere da parte certe rivalità. Ne parlavo giusto con il senatore Renzi poco fa.”

Elly non si stupì: Matteo Renzi era stato uno dei sostenitori dell’arrivo di Draghi nel 2021. Era stato proprio con il ritiro degli esponenti di Italia Viva dal secondo governo di Conte, aveva fatto in modo di avviare la crisi che avrebbe portato l’ex banchiere al potere. Elly sapeva dei magheggi compiuti dietro le quinte per convincere esponenti del PD a sostenere Draghi. I suoi colleghi gliene avevano parlato.

“A proposito, deve parlargli anche lei?” le domandò.

“Sì. Abbiamo molto su cui discutere in realtà.”

“Allora non le faccio perdere altro tempo… Buona giornata, Schlein.”

“A lei.”

Si allontanò in direzione opposta da dove lei era arrivata. Camminò piano, proprio per poter sentire quanto tempo ci avrebbe messo a farsi accogliere.

La sentì bussare alla porta, annunciarsi e poi entrare dopo circa un minuto.

“È stato rapido.” Pensò Draghi. Prese il telefono per ricontrollare gli appuntamenti del giorno, e lo rimise in tasca mentre girava l’angolo.

“Signor Draghi…”

Appoggiato contro il muro a braccia conserte lo attendeva Giuseppe Conte.

Draghi si lasciò sfuggire un lampo di sorpresa, una smorfia appena percettibile di stupore gli corruppe per un attimo il volto, che poi tornò nel suo stato di maschera di ghiaccio.

“Signor Conte…”

“A cosa dobbiamo la sua visita?”

“Nostalgia.”

“Nostalgia?”

“Nostalgia e impegni personali.”

“Di cui immagino non ha piacere a condividerne la natura.”

“Sicuramente non con lei.” Gli occhi di Draghi si ridussero a due fessure.

Ma Giuseppe Conte sostenne il suo sguardo. Anzi sorrise come se si stesse divertendo molto.

“Sa cosa penso, signor Draghi?”

“Non possiedo ancora il dono della lettura del pensiero.”

“Penso che lei stia già preparando il terreno per le prossime elezioni per la presidenza della repubblica.”

Draghi sfoderò il suo sorriso asciutto che non raggiungeva mai gli occhi: “Potrei consigliarle di fare lo stesso, visto che ormai ha l’età per essere eletto. E se la mia memoria non mi inganna, ci sono stati anche diversi voti per lei durante gli scrutini per Sergio Mattarella.”

“In effetti è proprio così, ha un’ottima memoria.” Conte gli si avvicinò “Diciamo che in questo momento ho altro a cui dover pensare.”

“E io non ho intenzione di turbare oltre i suoi pensieri. Arrivederci.”

Conte però non si mosse. Draghi si avvicinò e attese che l’altro gli facesse largo, ma non accadde. Avevano più o meno la stessa altezza e quindi i loro occhi si incrociarono perfettamente. Una cosa che Draghi aveva notato di Giuseppe Conte era la sua grande abilità a sostenere qualunque sguardo. Anche il suo.

“Che ne dice se ci prendiamo assieme un caffè, in nome della nostalgia?” propose Conte.

Mario Draghi non gli rispose subito. Per un po' rimase in silenzio. Si tolse gli occhiali, stropicciò gli occhi e sospirò: “In effetti ho ancora tempo…”

 

C’era un bar interno, così come delle macchinette e Conte lo guidò a una di quelle.

“Niente zucchero per me.” Dichiarò Draghi.

“Peccato.”

“Lo zucchero fa male.”

“Non ha perso le sue abitudini salutiste vedo.”

“No. E lei invece? Sbaglio o è ingrassato?”

“Sbaglia. E comunque con i vestiti è difficile da valutare.”

La battuta colse l’ex banchiere di sorpresa, non riuscì a trattenere una risatina: “È un invito?”

“Non proprio.” Giuseppe Conte gli porse il bicchierino e digitò la sua bevanda “Inoltre se non sbaglio, è lei a invitare, di solito.”

A Mario Draghi non sfuggì il tono della voce per la parola “invitare”: un miscuglio di sarcasmo e durezza.

“E se si ricorda, io avevo anche fatto un invito a lei… Ma lei non lo ha accettato… Né la prima volta né le successive.”

“Lasciandola sempre a bocca asciutta.” Concluse Conte sfoderando un sorriso.

Draghi lo fissò inespressivo, ma dentro sentì l’inizio di un piccolo falò. Era stato abituato fin da piccolo a nascondere per bene i suoi sentimenti, tutti, senza eccezioni, arrivando qualche volta a esserne del tutto estraneo. Però, ricordare come erano andate le cose quella volta, gli suscitava inevitabilmente un principio di rabbia. L’idea che si era fatto cogliere così alla sprovvista, dopo aver scoperto così tante carte…

“Mi tolga una curiosità, ha intenzione di fare propaganda solo da Renzi, o prima o poi verrà a parlare anche con il resto dei rappresentanti?” chiese Conte, interrompendo i suoi pensieri e per fortuna riportando il discorso su un binario più sicuro. Il fuocherello si spense.

“Ogni cosa a suo tempo. È un terreno da preparare con cautela… ma sa come si dice, no? Chi prima arriva, meglio alloggia. Perché invece di interessarsi alle mie manovre non prova a mettere in campo le sue?”

“Come le ho già detto, signor Draghi, ho altro a cui dover pensare. Inoltre, non la voterei in nessun caso.”

La fiamma tornò a brillare. All’esterno, Draghi mosse appena le dita stringendole di più attorno al suo bicchiere.

“Mi dica perché.”

“Perché credo che la situazione in cui ci troviamo è anche una sua conseguenza.”

“Oh… Mi da la colpa del governo attuale in parole povere…”

“Non solo di quello, dovrebbe saperlo. La stimo come economista, anche se non ho mai amato le sue politiche, le ho capite; ma doveva immaginare cosa sarebbe successo nel lungo termine… doveva aspettarsi che si sarebbe arrivati a questo… e questo” Conte sollevò il dito indice e disegnò un cerchio nell’aria “non piace nemmeno a lei… né al potere che rappresenta.”

“Io rappresento solo me stesso.”

“Sappiamo tutti e due che non è così.”

Draghi non si scompose, anche se la rabbia iniziava a farsi sentire sempre più forte. Com’erano sciocchi i sentimenti: erano la prima forma di perdita di controllo e lui non poteva permetterselo, non in quel momento, non in quell’insolente dialogo.

“Lei crede di sapere tutto, signor Conte…” una piccola vibrazione cupa corruppe la sua voce robotica “…Ma non è coì semplice…”

“Immagino che comunque i voti del mio partito non li disprezzerebbe.”

“Dipende da quanto farà alle elezioni. Da quanto sarà bravo lei.”

Conte continuava a sorridere. Non era per nulla intimidito: “Non credo che il Movimento sia destinato a sparire tanto presto. Inoltre potrei anche optare per lasciare ai miei la completa libertà sulla loro scelta. A quel punto lei potrebbe agire a tutto campo, o potrebbe farlo Renzi per lei, per avere degli elettori in più.”

“Ho sempre ammirato il suo senso di realpolitik. Lo trovo molto interessante, io su certe cose non sarei in grado di trovare un compromesso per me digeribile.”

“Infatti lei mica è un politico.”

Draghi stava bevendo un sorso del caffè quando sentì quelle parole. Il liquido gli andò di traverso e tossì.

“L’ho colpita nel segno vedo!” esclamò Giuseppe.

“Lo ammetto… colpito e affondato.” Mormorò Draghi buttando via il bicchierino ormai vuoto.

“Comunque, perché non mi fa un’offerta?”

I loro sguardi si incrociarono di nuovo. Giuseppe calmo, non perdeva il suo sorriso; Draghi gelido, ma oltre le lenti c’era un barlume di rabbia appena percettibile.

“Così che lei possa rifiutarla con stile, come ha fatto l’ultima volta?”

“O magari accettarla.”

“Sarebbe la prima volta.”

“Una prima volta c’è sempre, signor Draghi.” Conte si era avvicinato a lui e aveva abbassato il tono di voce.

L’ex banchiere non indietreggiò; mantenne il contatto visivo e sussurrò: “Ho già provato tante volte con lei… non voglio restare di nuovo a bocca asciutta…”

“Quindi rinuncia?”

Lo sguardo dell’ex banchiere si incrinò per un momento. Un secondo in cui il bagliore di fondo divenne un incendio nelle pupille, che nascose chiudendo le palpebre a fessura e avvicinando il volto all’orecchio dell’altro: “Casa sicura ore otto di domani sera, puntuale.” Sentenziò.

Girò i tacchi e si allontanò a passo veloce. Sentiva lo sguardo dell’altro sulla schiena.

Si era posto come se la richiesta fosse un ultimatum, ma sapeva che se anche quella volta gli avrebbe detto no, avrebbe riprovato.

La partita con lui era aperta da più di due anni ormai… la più lunga che gli fosse toccato giocare.

Chapter 4: 3 febbraio 2021 Ore 22

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3 febbraio 2021

Ore 22

 

Seduto alla sua scrivania, Giuseppe Conte stava studiando alcuni documenti. Aveva spento il telefono perché le notifiche gli davano troppo fastidio.

Si era saputo della visita di Draghi a Mattarella e dell’accettazione dell’incarico e ora tutti (giornalisti, colleghi, avversari, amici e parenti) gli stavano scrivendo i più vari messaggi, dalla solidarietà alle domande sul futuro.

Giuseppe l’aveva saputo prima di tutti gli altri, con un messaggino da parte dello stesso Draghi.

 

“So già che sarò convocato dal presidente. Volevo farle sapere che accetterò. Stasera passerò a trovarla.”

 

Non una domanda, un autoinvito bello e buono. Ma Conte non se l’era presa perché sapeva come si esprimeva l’ex banchiere.

Quando sentì i colpi alla porta, non si alzò nemmeno.

“Avanti.”

Mario Draghi fece il suo ingresso. Indossava ancora l’fp2.

“Presidente Conte.”

Giuseppe Conte alzò lo sguardo, ma non ricambiò il saluto subito. Studiò prima il suo ospite e notò che aveva gli occhiali appannati, grande condanna di quel semplice metodo di protezione.

“Futuro presidente Draghi…” mormorò esibendo un sorriso e tirando fuori dal cassetto la mascherina.

“No, non si scomodi. Anzi, le chiedo una cortesia, potrei togliere la mia? Prima di recarmi da Mattarella ho voluto comunque fare un tampone. Non ho nulla.”

Conte ci pensò. Poi annuì e ripose la sua fp2 nel cassetto.

“La ringrazio tanto.” Draghi si tolse la mascherina. Il suo volto ne portava i segni. Da una tasca estrasse l’astuccio degli occhiali e dallo stesso un panno scuro con cui li ripulì.

Le lenti, ora chiare, restituirono a Conte gli occhi glaciali dell’uomo. Occhi che molti non riuscivano a fissare facilmente. Ma lui non aveva problemi a farlo. Anzi, quel tipo di occhi gli piacevano pure: non avevano un colore preciso e secondo lui erano il perfetto specchio dell’anima dell’ex banchiere.

“Posso sedermi?” domandò Draghi.

“Faccia come se fosse a casa sua, visto che presto sarà così.” Assentì Conte indicandogli la sedia dirimpetto alla sua.

Draghi si lasciò sfuggire un sorriso a mezza bocca e si accomodò, accavallando una delle gambe.

“A cosa devo l’onore di questa visita?” domandò Conte.

“Ho intuito dal suo messaggio di risposta che se l’è presa.”

Giuseppe Conte non si scompose. All’autoinvito di Draghi aveva risposto con: “Faccia come più le aggrada.” E a ripensarci era in effetti un modo piuttosto brutto di rispondere. Ma in quel momento, non aveva ancora pianificato nulla.

“Non pretendo che lei lo capisca, ma sì, non sono contento di come sono andato le cose. Le riconosco una grande abilità, quello sì. Mi piacerebbe sapere come è riuscito a convincere Renzi… Anche se penso di intuirlo.”

Draghi socchiuse gli occhi e fece un cenno con la testa: “In verità, capisco benissimo. Ma le posso assicurare che non smantellerò tutto il suo lavoro completamente. Non nell’immediato almeno. Sono qui anche per questo: non voglio essere in guerra con lei. Abbiamo sicuramente molti margini in comune con cui lavorare. E non lascerò a spasso tutti i suoi ministri. Anzi, ho tutta l’intenzione di riconfermare Roberto Speranza. Per quanto mi riguarda, il fatto che sia ancora tutto intero dopo il periodo pandemico, è di per sé un miracolo e un segno di una certa… com’è quella parola che va tanto di moda ora?”

“Resilienza?”

“Ecco, ha mostrato una grande resilienza. E credo che non meriti di essere cacciato già solo per questo.”

“Quindi non cederà alle lusinghe di Matteo Salvini e dei suoi.” Conte si alzò in piedi e si spostò verso un armadietto a muro.

“Dopo quello che hanno detto di me per anni? Certamente no.” Draghi non lo perse mai di vista.

“Sarà la parte più scomoda riuscire a sopportarlo. Lo è stata anche per me.” Conte aprì l’armadietto e tirò fuori due bicchieri.

“Ha qualche consiglio da darmi a riguardo?”

“Non prenda nulla sul personale.” Conte poggiò i bicchieri sul tavolo e tornò all’armadietto “Qualunque cosa possa dire, anche quando ha ragione, molto probabilmente è frutto di un suo tentativo di manipolazione. Non ho conosciuto nessuno, né in politica né altrove, tanto attaccato al potere da arrivare a perdere completamente sé stesso. Non gliene faccio una colpa. Sa come si dice, chi nasce tondo…” tirò fuori una bottiglia di piccola taglia che conteneva un liquido scuro.

“Per mia fortuna, sono uno che incassa molto bene i colpi: non li sento mai. Far male a persone come me è difficile.” Rispose calmo Draghi.

“Buon per lei. Mi scusi se glielo chiedo, ma ha cenato?”

Draghi esitò prima di dare la risposta: “Sì. Ho mangiato qualcosa, perché?”

“Questo di solito si prende dopo cena. È un amaro pugliese artigianale che mi è stato regalato quando ho inaugurato il secondo governo. Mi porterò via diverse cose dall’ufficio, ma questo vorrei finirlo prima di andar via.”

Giuseppe Conte stappò la bottiglia e riempì i due bicchieri a metà, vuotandola.

Si trattava di una quantità che andava molto oltre il classico bicchierino da amaro del dopo cena.

Ma Mario Draghi non protestò. Sì, l’alcol avrebbe sicuramente reso il tutto ancora più semplice. Era lì per un motivo preciso e per fortuna il suo interlocutore sembrava pronto a rendere le cose alla sua portata. E poi era uno che reggeva bene qualunque bevanda.

Prese il suo bicchiere e Conte lo imitò.

“Alla nostra futura collaborazione.” Propose Draghi, sapendo che era una frase estremamente provocatoria.

Ma Conte non si scompose. Sorrise e rilanciò: “Al nostro Gioco.”

Fu come se gli avesse puntato una pistola alla fronte: non se l’era aspettato, né tanto meno immaginato.

Conte mandò giù con nonchalance un sorso del suo bicchiere, mentre Draghi rimase pietrificato con le dita chiuse attorno al vetro. Il suo volto non appariva sconvolto ma era impallidito.

“Non beve?” lo incitò Conte.

L’ex banchiere, senza abbassare lo sguardo, assaggiò il liquido, lasciando che gli bruciasse la gola.

“Le piace?”

“Nessuno nomina mai così apertamente il Gioco…” mormorò Draghi.

“In effetti è vero… mi è stato spiegato. Ma lei in fondo è qui per questo no? Ho sentito parlare di lei in questo periodo… ho voluto informarmi, lo ammetto; come giocatore ha una certa fama.”

Draghi mandò giù dell’altro amaro. Sapeva che probabilmente stava facendo un errore perché l’alcol rimuoveva i freni inibitori, ma era convinto di poter mantenere comunque una certa freddezza, se faceva attenzione: “La mia fama però è nettamente inferiore alla sua…”

“Non faccia il modesto.”

“Le voci che giravano sulla sua omosessualità già quando era avvocato…” iniziò Draghi, ma Conte lo interruppe: “Voci, appunto. Non mi riconosco come omosessuale. La verità è che semplicemente a me piacciono entrambi i generi. D'altronde, è così anche per lei.”

Draghi vuotò il bicchiere. Gli venne da tossire. Quando riprese fiato disse: “Io sono quello che ha detto lei, un giocatore. Non ne faccio una questione di piacere personale, ma pratica: se serve esercitare un potere o un’alleanza in quel modo, lo faccio. Non c’è altro.”

“Davvero? Le testimonianze che ho avuto io mi dicono il contrario… Dicono che lei ha dei gusti particolari per alcune circostanze…” Continuando a sorridere, Conte si prese un altro sorso di amaro.

“Non so da che fonti attinga le sue informazioni, ma il fatto che io abbia o meno dei fetish, e la prego li chiami così d’ora in poi, è prettamente affar mio.” Draghi aveva ripreso un po' di colore e la sua voce, per quanto incrinata, manteneva quella cadenza gelida e robotica.

“Visto che lei è qui e che so perché è qui, qual è il vero motivo, cosa vuole ottenere, direi che è anche affar mio, non trova?”

Nel silenzio che seguì i due uomini si fissarono: Draghi aveva un bagliore in fondo allo sguardo, Conte era rilassato, sornione, sembrava quasi contento.

Draghi fu il primo a rompere il silenzio: “Vuole giocare a carte scoperte…”

“Mi piace la sincerità.”

“Sono qui solo per seppellire subito l’ascia di guerra. Mi rendo conto che avrà sicuramente dei rancori nei miei confronti, le chiedo per il bene del paese di metterli da parte…”

“Ha bisogno dei miei voti per non dover cedere alla Lega troppo potere.”

“Esattamente. Ho dei contatti nel partito di Salvini che posso gestire benissimo, ma sono pochi. D’altro canto, la loro disponibilità nei miei confronti è stata assai scarsa nell’ultimo decennio, ce lo siamo già detti.”

“E scommetto che non si fida neanche poi tanto di Renzi.”

Per la prima volta da che era entrato nell’ufficio, Mario Draghi si lasciò sfuggire un mezzo sorriso che però raggiunse anche gli occhi: “Ah no… Mi creda lui mi è fedelissimo.”

“E vuole usare con me la stessa tecnica che ha usato con lui per piegarlo?” domandò Conte per nulla spaventato.

“Non è detto. Non dipende solo da me… Ammetto che avrei l’idea di farle una proposta del genere… Lei si è informato su di me, io mi sono informato su di lei. E quanto mi è stato detto mi ha molto colpito… Mi hanno parlato di lei tutti allo stesso modo: un gentiluomo. La definiscono così. Sarei curioso di sapere come ciò si declina in una circostanza particolare… come quella del Gioco.” Draghi aveva appoggiato il bicchiere ormai vuoto sulla scrivania e la sua voce si era abbassata, facendosi più umana.

Conte sospirò. Vuotò il suo bicchiere e lo appoggiò anche lui sulla scrivania.

Draghi continuava a fissarlo intensamente e gli occhi ora sembravano più lucidi che gelidi.

Conte per un attimo spostò lo sguardo verso la sua sedia presidenziale. Tornò a fissare Draghi e la indicò: “Vuole provarla?”

Il volto dell’altro si corrugò per la sorpresa: “Prego?”

“La sedia dico. Tra un po' dovrà sedersi qui. E stacanovista com’è, ci passerà sicuramente tante ore. Può provarla adesso, che ne dice? Abbiamo un’altezza simile quindi penso sia regolata bene, ma se vuole può sistemarla in modo diverso.” Continuò Conte con naturalezza. Si fece anche da parte per permettere all’altro di passare.

Mario Draghi non si mosse subito. Sapeva che dietro quell’invito c’era sicuramente qualcosa di più, ma non riusciva a capire cosa.

Di certo non c’era qualche scherzo, né un intento umiliante, anche perché poco prima su quella sedia c’era stato seduto proprio Conte.

“Però ha ragione… presto dovrò stare seduto lì…” pensò avvicinandosi. Muovendosi si rese conto che l’alcol gli aveva fatto un po' di effetto. Si sentiva leggero e non era sicuro di camminare dritto. A ben pensarci, in quanto amaro, aveva sicuramente una graduazione più alta del normale. “Non avrei dovuto bere tanto in fretta.”

Raggiunse la sedia e prendendo il poggiatesta la mosse leggermente, notò così che non cigolava. La girò verso di sé e vi si sedette sopra.

“Come ci si sente?” chiese Conte.

“Comoda.” Mormorò Draghi. Suo malgrado si lasciò sfuggire un ghigno soddisfatto. Sì, quello sarebbe stato il suo posto, presto.

Giuseppe Conte si avvicinò e senza troppe cerimonie si sedette su di lui, bloccandolo lì.

Mario Draghi si sorprese molto ma non lo spinse via.

I due uomini si ritrovarono a fissarsi con i volti a poca distanza l’uno dall’altro.

“Presidente Conte…” iniziò Draghi, ma l’altro non gli permise di finire, chiudendogli la bocca con un bacio.

Immediatamente, Draghi avvinghiò le braccia attorno al corpo di Conte, per essere sicuro di averne il controllo, mentre ricambiava il bacio. Era un bacio esperto e appassionato, molto dominante; quando le loro labbra si staccarono, mentre Conte riprendeva fiato, si tolse rapidamente gli occhiali, poi poggiò la mano sulla nuca di Conte e lo costrinse a un secondo bacio.

Con l’altra mano scese lungo la schiena e sentì che non portava la cinta ai pantaloni.

Draghi calcolò così che aveva a disposizione solo la sua cinta e due cravatte, ma non era un problema, non per un primo incontro almeno. Si slacciò la cinta e incrociò la mano di Conte, che lo aiutò nell’operazione. Stava andando tutto anche troppo bene.

Si staccò dal bacio e ansimò un po'.

“Me la toglie una curiosità?” gli sussurrò nell’orecchio Conte, dopo aver ripreso anche lui fiato.

Il fatto che gli desse ancora del lei lo eccitò immediatamente. Un segno di rispetto così spontaneo non era facile da trovare in giro.

“Prego…”

“Da quanto tempo è giocatore lei?”

Draghi non fu sicuro che fosse il caso di rispondere… Ma una delle regole del Gioco era che durante se ne poteva parlare liberamente, se una delle parti lo voleva.

“Da sempre… Da quando ho scoperto della sua esistenza.”

“Si è fatto strada così?” domandò ancora Conte. Con rapidità aveva tolto il bottone e abbassato la zip dei pantaloni

“Adesso sta osando troppo… Non è il caso di parlarne. Non UGH!” Draghi sentì la mano dell’altro iniziare a massaggiarlo attraverso la stoffa della biancheria. L’eccitazione iniziale si trasformò rapidamente in un'erezione.

“Complimenti comunque, signor Draghi, non è male per la sua età…” sussurrò Conte.

Draghi deglutì e chiuse gli occhi. Si stava prendendo troppe libertà con lui, era troppo sfrontato. Doveva rimetterlo presto al suo posto. Però doveva anche ammettere che era molto bravo. Decise di godersi un po' il contatto fisico, anche perché poi non ci sarebbero state altre occasioni, per quella serata. Almeno non per Conte.

“Complimenti a lei… presidente Conte…” Draghi gli afferrò il polso del braccio libero. Iniziava a sentire caldo. Il corpo fu scosso da un brivido intenso, quando le dita di Conte si strinsero.

“Signor Conte, per favore.” Lo corresse il presidente muovendo su e giù la mano.

Draghi trattenne un gemito. Ancora qualche minuto, si disse.

Voleva godere di quel tocco così esperto.

Lasciò andare il polso di Conte e si aggrappò al tavolo perché la sedia si stava muovendo pericolosamente all’indietro.

Conte aumentò la velocità e lo osservò: teneva gli occhi ben chiusi e ansimava appena. Si stava trattenendo. “Non ce la fa proprio a mostrarsi umano…” pensò.

Appena fu sicuro che l’erezione fosse piena, Conte lo lasciò andare: “Per stasera basta così, signor Draghi.”

L’ex banchiere, aprì gli occhi; l’altro si era alzato lasciandolo solo seduto sulla sedia, braccia e gambe divaricate, pantaloni sbottonati e vestito sgualcito e l’erezione ancora visibile. Giuseppe Conte era di fronte a lui, e si stava sistemando senza degnarlo di uno sguardo.

Mario Draghi si riprese gli occhiali e lo fissò: i suoi occhi tradirono tutta la sorpresa e lo sconvolgimento di quell’improvviso stop.

“Mi scusi?”

“È stato interessante conoscerla. Ma per stasera basta così.” Disse calmo Giuseppe Conte, tornando a guardarlo.

“Lei sta scherzando…”

“No. Sono stanco. Lo è anche lei. Domani mi aspetta una giornata impegnativa e questa non è ancora finita. Devo rispondere ad alcuni messaggi e finire questi documenti… perciò la congedo. D'altronde il Gioco lo permette: la partita può durare solo se entrambi i giocatori vogliono giocare, se uno deui due lascia…”

Conte incrociò il suo sguardo, vide i suoi occhi oltre le lenti che per la prima volta esprimevano qualcosa di umano: rabbia. La stessa faccia era contorta in una smorfia di furia.

L’ex banchiere scattò in piedi e lo afferrò per il colletto della camicia con una mano mentre l’altra si chiuse in un pugno.

Conte sobbalzò ma si ricompose subito e ricambiò lo sguardo rabbioso con altrettanta durezza.

“Se ne vada, signor Draghi. Per stasera basta così.” Ribadì.

La metamorfosi fu altrettanto impressionante: in pochi respiri, Draghi tornò gelido e calmo; lasciò andare Conte e iniziò a risistemarsi i vestiti.

“Mi sono lasciato usare come un cretino…. Come un cretino…” pensava mentre si rimetteva la cinta e sentiva l’erezione ancora premere attraverso la stoffa.

“Non finisce qui comunque signor Conte…” mormorò tra i denti.

“Sicuramente no, signor Draghi.” Disse Giuseppe Conte.

Quel modo di chiamarsi reciprocamente, solo con l’appellativo ‘signore’, sarebbe rimasto il loro saluto esclusivo fuori dalle occasioni formali pubbliche.

Dopo essersi risistemato la mascherina sul volto, Draghi gli lanciò un’ultima gelida occhiata prima di uscire dal suo ufficio, lasciandolo solo.

Nel corridoio camminò a passo veloce, ancora carico di rabbia.

“Controllati, controllati, controllati….” Pensò.

Poi gli venne in mente una cosa: non c’era solo Conte ancora sveglio; c’era anche Matteo Renzi.

Si ricordò che gli aveva scritto che sarebbe stato a lavorare anche lui fino a tardi quella sera e che se quando aveva finito con Conte voleva passare per il suo ufficio era il benvenuto.

“Ora che ci penso, oltre a palazzo madama ha un piccolo ufficio anche qui in quanto segretario di Italia Viva.”

Mario Draghi esplorò vari corridoi finchè non notò una delle porte da cui usciva un po' di luce. Bussò.

Riconobbe subito la voce di Renzi: “Chi è?”

Non gli rispose. Entrò nell’ufficio.

Matteo Renzi era solo, intento a controllare dei fascicoli.

“Oh… presidente Draghi!” esclamò “Com’è andata con…”

Draghi però non gli permise di finire la frase…

Chapter 5: 3 ottobre 2023 - Ufficio di Matteo Renzi Ore 14

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3 ottobre 2023

Ore 14 – ufficio di Matteo Renzi

 

“Allora non le faccio perdere altro tempo… Buona giornata, Schlein.”

“A lei.”

Mario Draghi si avviò a passo lento nella direzione opposta rispetto a quella dove era arrivata lei.

Elly continuò a osservarlo anche mentre bussava alla porta.

“Chi è?”

“Elly Schlein”

“Un secondo!”

Passò quasi un minuto in realtà, durante il quale Elly sentì rumoreggiare nella stanza; probabilmente Renzi aveva tirato fuori qualche faldone “segreto” da mostrare a Draghi e ora lo stava riponendo rapidamente al suo posto.

L’ex banchiere proseguiva la sua lenta passeggiata lungo il corridoio, ma sembrò accelerare il passo appena dalla stanza di Renzi arrivò: “Avanti!” e Schlein aprì la porta.

Lo trovò seduto alla scrivania, la giacca appoggiata sul tavolo e le mani dietro la testa, sorridente come sempre.

“A cosa devo l’onore?” le domandò.

Elly non ricambiò il sorriso. Si sedette dirimpetto a lui con aria seria. Era venuta lì con un’idea, ma l’incontro con Draghi cambiava un po' le carte in tavola: “Io e Draghi ci siamo appena salutati. Vedo che non hai perso le tue amicizie altolocate.”

“Io e lui ci frequentiamo ancora, sì.” Rispose lui calmo “È un problema?”

“Dipende. Vuoi far cadere anche questo governo?”

“Questo farebbe comodo anche a te!”

Si davano del tu perché comunque si conoscevano da molto. E perché entrambi non se la sarebbero mai sentita di rispettare l’altro dandosi del lei.

“Probabilmente sì, ma volendo potremmo anche lavorare insieme come opposizione nel presente. Per esempio il decreto rave presto verrà discusso in parlamento, vorrebbero farlo approvare tra novembre e dicembre. Stiamo studiando una serie di contestazioni da fare…”

“Io ti ho già detto la mia posizione Elly.” La interruppe Renzi “Io voto quello che ritengo opportuno e in linea con il mio partito. Non mi importa chi lo propone. Stessa cosa per ciò su cui mi opporrò.”

Elly sbuffò.

Lui continuava a fissarla sorridendo.

“Elly, se vuoi convincermi a oppormi a Giorgia Meloni con la stessa foga… se tale si può definire, che hai tu, devi portarmi qualcosa di più concreto di una semplice richiesta.”

“Infatti volevo proporre degli incontri tra i miei e i tuoi.”

“Abbiamo già fatto incontrare le nostre delegazioni.”

“Riproviamo.”

Fu il turno di Matteo di sbuffare: “Devo riconoscerti una gran determinazione. Sicuramente aiuta molto ma te l’ho detto l’altra volta tu…”

“NON AZZARDARTI A DIRMI MAI PIU’ DI COSA SONO O NON SONO CAPACE!”

Elly si era alzata e gli puntava contro un dito. Matteo non se l’era aspettato ed era sobbalzato sulla sua sedia.

Riprese però subito a sorridere: “E sì, devo riconoscere che dall’ultima volta che ci siamo visti sei molto più combattiva. Alla fine, Pippo Civati non è stato poi una brutta influenza su di te…”

“Sono cambiate tante cose ormai. L’unico che è rimasto il solito bischero sei tu.”

Dare del “bischero” a un toscano (per di più fiorentino), Elly lo sapeva, era molto più di un semplice insulto. Soprattutto con il tono che aveva usato lei.

Lo aveva fatto di proposito: aveva capito che l’incontro era stato inutile ma voleva almeno prendersi una rivincita dallo smacco subito la prima volta.

Vide Matteo irrigidirsi e i suoi occhi accendersi di rabbia.

L’uomo si alzò dalla sedia… poi emise un gemito di dolore e ricadde seduto.

Elly si sorprese molto.

Matteo aveva le mani sulla scrivania e la stringeva forte come per non cadere. Aveva gli occhi chiusi e si stava mordendo il labbro.

Elly rimase a osservarlo in silenzio, indecisa se tenere il punto o chiedergli che cosa avesse.

In quel momento qualcuno bussò alla porta.

Renzi emise un altro gemito prima di riaprire gli occhi: “Ah… Boschi. Elly apri tu e lasciaci soli. Come vedi sono molto occupato. Quindi consiglio di rimandare qualsiasi discussione. Io non cambio idea però.”

Elly Schlein annuì. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma ora le sembrava che fosse addirittura impallidito, quindi decise di lasciar perdere. Tanto non era andata bene e la sua rivincita se l’era presa, quindi non aveva motivi per restare.

Aprì la porta.

Maria Elena Boschi fu sorpresa di trovarla lì, ma chinò rispettosamente la testa: “Onorevole Schlein.”

“Onorevole Boschi.”

Non si dissero altro. Elly li lasciò soli. Mentre percorreva il corridoio prese il telefono e scrisse tre parole nella chat di gruppo dei suoi: “Buco nell’acqua”

Lei e i suoi collaboratori avevano due chat di gruppo: una su Whatsapp e l’altra su Telegram. Aveva scelto la chat di Telegram e notò solo allora una notifica di un messaggio inviato qualche ora prima. Il contatto era quello di Giorgia Meloni, ma non aveva una foto profilo.

Una semplice domanda: “Sei anche qui Elly?”

Probabilmente l’aveva trovata attraverso la ricerca dei contatti da rubrica.

Appena vide quel messaggio, Elly ebbe un flash di quanto capitato nell’ufficio presidenziale. Scosse la testa per cancellare l’immagine e rispose: “Sì, sono anche qui.”

Giorgia Meloni era online quindi visualizzò subito il messaggio e iniziò a scrivere.

“Oh no…” pensò Elly, indecisa se chiudere l’applicazione o attendere.

Il messaggio arrivò prima che avesse preso una decisione: “Ottimo! Meglio sentirsi qui su telegram allora.”

Elly stava per scrivere un semplice “ok”, ma fu colta dalla curiosità: “Perché?”

Giorgia Meloni rispose: “Perché qui possiamo fare questo.”

Un secondo dopo, tutti i piccoli baloon della conversazione si dissolsero, sparendo.

Elly capì che l’altra li aveva cancellati. Poi riprese a scrivere: “Comodo eh Elly?”

“Per un paranoico sì.” Rispose Elly.

Giorgia Meloni replicò con l’emoji di una faccina sorridente, poi scrisse: “Comunque volevo farti vedere una cosa.” E le inviò una foto.

Ma non una foto normale: era nel formato che l’avrebbe fatta cancellare una volta aperta, e quindi non era possibile vederne l’anteprima.

Elly sentì il sangue gelarsi. Sapeva che di solito le foto mandate in quel formato avevano sempre uno scopo ben preciso e di solito un certo tipo di contenuto.

Le pareva impossibile però che proprio Giorgia Meloni le avesse inviato una foto di quel genere. Ma dopo quella giornata nel suo ufficio si aspettava veramente di tutto da lei. Respirò affondo. Deglutì e aprì la foto.

Era una copia dell’Espresso sopra una scrivania. Il numero che aveva visto lei stessa in copertina nel settembre del 2020.

Suo malgrado, Elly tirò un sospiro di sollievo.

La foto risultò aperta e non si poteva più ritrovare.

Allora Giorgia Meloni riprese a scrivere: “Ti sto studiando bene, come vedi.”

Elly Schlein scrisse: “Sono onorata.”

Giorgia Meloni aggiunse: “Ho visto che ci hai messo un po' ad aprire la foto. Cosa ti aspettavi?”

Colta sul fatto, Elly decise di togliersi uno sfizio digitò “SCEMA” a lettere maiuscole e lo inviò.

Poi, appena il messaggio venne visualizzato, selezionò rapidamente tutti i baloon e li eliminò per entrambe.

Ancora agitata, chiuse l’applicazione, si mise il telefono in tasca e proseguì il cammino.

Chapter 6: 4 ottobre 2025 – Casa sicura Ore 19:30 (Parte 1)

Notes:

(See the end of the chapter for notes.)

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“Mi considero un politico. Ma ho iniziato come avvocato. Studiare le regole, interpretarle, capirle è qualcosa che fa parte del mio mestiere, forse anche della mia persona. Quando sono entrato nel Gioco ho capito che la situazione era molto, molto rischiosa. Per sopravvivere seguire, le regole non bastava, bisognava anche capirle e applicarle al meglio con ciascuna delle parti presenti. E così ho fatto.” G.C.

 

4 ottobre 2025 – Casa segreta

Parte 1

Ore 19:30

 

La chiamavano “la Casa Sicura”, ma si trattava solo di un appartamento in centro, con i soffitti alti e ammobiliato in modo semplice, che le personalità politiche più importanti potevano utilizzare a loro piacimento per nascondersi o riunirsi.

Qualunque personalità, nazionale o internazionale. A patto di conoscerne l’esistenza.

Era stata acquistata nel 1994 durante il primo governo di Silvio Berlusconi su sua espressa richiesta (i motivi li avevano immaginati tutti) tramite un piccolo studio di avvocati che ne possedeva da anni la chiave. All’inizio vi aveva usufruito solo lui. Poi un giorno aveva deciso di lasciarla utilizzare a Vladimir Putin e da allora c’erano passati in molti.

Mario Draghi aveva fatto ritirare le chiavi nel pomeriggio ed era andato lì, dopo una rapida cena, completamente solo, in taxi, indossando mascherina e berretto per non farsi riconoscere, ma vestito con un completo con camicia e cravatta.

La Casa Sicura l’aveva già utilizzata un paio di volte, ma dall’ultima visita, notò, gli avvocati avevano fatto cambiare il forno a microonde con uno più moderno (“Era ora…”) e che qualcuno di loro aveva deciso di portare lì la sua collezione di fumetti di Diabolik, riempiendo in questo modo uno degli scaffali della libreria del salotto, altrimenti vuoto.

C’erano molte librerie in salotto, oltre al televisore e a divani e poltrone, ma erano perlopiù vuote, servivano a non creare troppo eco nella stanza.

Vedere uno scaffale pieno di piccoli volumetti dal dorso colorato era una novità particolare, che in qualche modo colpì l’ex-banchiere. Non era mai stato appassionato di fumetti, nemmeno in gioventù. Ma siccome mancava ancora mezz’ora all’arrivo di Conte, decise che valeva la pena provare a leggerne uno. I pochi altri libri presenti li aveva già letti, molti erano in lingue diverse dall’italiano e dall’inglese.

Prese un volume dal dorso verde e iniziò. Lo finì in dieci minuti. Ne prese allora un altro. E poi un altro. Stava per prendere il quarto, quando sentì il citofono.

Una volta si utilizzava una parola d’ordine, poi il citofono si era dotato di telecamera. Riconobbe subito il suo ospite. Aprì il portone e poi la porta e lo attese sulla soglia.

Puntualissimo e vestito anche lui con completo, Giuseppe Conte sorrise quando lo vide: “Signor Draghi…”

L’uomo fece largo per farlo entrare: “Signor Conte… Ha avuto difficoltà a venire?”

“No. Anche se ammetto che è la prima volta che la vedo. Me ne hanno sempre parlato tutti come una bella casa e direi che è vero!”

“Credevo ne avesse usufruito…”

“No. Non ho avuto occasione, ma ne conoscevo l’indirizzo e l’esistenza. E quei Diabolik?”

“Forse uno dei praticanti dello studio li ha portati qui.”

“Hanno ancora loro la chiave quindi…”

“Come sempre.”

“Ma chi li paga per mantenere questo segreto?”

La domanda colse di sorpresa Draghi. Già, in effetti doveva esserci per forza qualcuno che pagava una parcella per custodire quella casa e pagarne le bollette. Anche se per la maggior parte del tempo era inabitata. Non ricordava però che nel suo periodo di governo gli fosse mai arrivato un conto.

“In realtà non lo so… forse è tutto ancora sotto il controllo della famiglia Berlusconi. A quanto ne so, lo studio si occupa anche di altre cose per loro.” disse allora l’ex-banchiere.

“In ogni caso, devo dire che mi piace molto! A lei piace Diabolik vedo!” il terzo volume letto era rimasto sopra al divano.

Draghi si affrettò a metterlo a posto: “Ah no, per carità, solo che mentre l’aspettavo, per farmi compagnia, ho provato a leggerne qualcuno. Niente di che. Molto pop.”

Giuseppe Conte esplorò il resto della casa: una bella cucina e una stanza da letto con diversi specchi sui muri e una spalliera di ferro. Un cassettone elegante e antico si trovava sul lato delle finestre e dello stesso fatturato erano i due comodini, mentre le abatjour erano molto moderne e stonavano.

Anche il bagno era molto grande e aveva sia la vasca che il piatto doccia.

“Si vede proprio che è stata progettata con uno scopo preciso.” Pensò tra sé Conte. Quando tornò in salotto, vide che Mario Draghi aveva tirato fuori dei calici, un apribottiglie e una bottiglia di vino rosso. Erano tutti sopra all’elegante tavolo di legno, mentre l’ex banchiere stava chiudendo le tende delle finestre.

Conte prese la bottiglia e lesse l’etichetta. Emise un fischio d’ammirazione.

“Questo è praticamente un pezzo di storia!” esclamò.

“Non proprio in realtà. Sono state prodotte cento bottiglie e in giro ce ne sono ancora almeno una cinquantina. Ha un suo valore, certamente, ma inferiore a molte altre.” Spiegò calmo Draghi.

“Come l’ha avuta?”

“Diciamo che una conoscenza mi doveva un favore.”

“Vuole davvero aprirla?”

“A lei l’onore.”

“È un onore eccome!”

Con attenzione, Conte stappò la bottiglia, preparò i due calici e ne passò uno a Draghi.

“Alla partita di stasera…” esclamò l’ex-banchiere fissando l’altro e alzando il bicchiere.

Giuseppe Conte ricambiò lo sguardo e sorrise: “Alla nostra partita.”

Fecero tintinnare i bicchieri e bevvero.

“Buono!” disse Conte.

“Non è male. Ne ho assaggiati di migliori. Credo che ne prenderò ancora comunque.”

Si sedettero al tavolo e si servirono di nuovo.

“Non le ho chiesto se aveva cenato, signor Conte.”

“Sì, sapevo che avrei fatto tardi.”

“Se faremo tardi, lo deciderà lei.”

“Potrebbe non andare così. Stavolta potrebbe essere lei a rifiutare.”

Draghi non raccolse quella provocazione. Appariva freddo e pacato come sempre. Spostò lo sguardo verso la libreria. La indicò: “Lei li leggeva?”

“Da giovane? No, non ne sono appassionato, ma ammetto di averne qualcuno in libreria. Cose molto classiche, tipo Tex o Dylan Dog. Mio figlio ha collezionato alcuni manga, che sono interessanti…”

“Niccolò giusto?”

“Sì. Lei invece ha avuto Giacomo e Federica mi sembra…”

“Giusto. Vedo che anche la sua memoria è ottima. Ma ammetto la mia ignoranza su cosa sia un manga.”

“Sono fumetti giapponesi. Scritti al contrario.”

“Al contrario?”

“Da sinistra verso destra. Iniziano da quella che per noi è la fine. Ho provato a leggerli ma non mi sono trovato. Devo dire però che lo stile è interessante!”

“Cosa legge di solito?”

“Non ho un genere preferito. E comunque molte delle mie letture sono dedicate allo studio.”

“Vale anche per me.”

“Anche lei ha fatto la Sapienza, o mi sbaglio signor Draghi?”

“Sì. È così. E se è per questo anch’io sono stato professore a Firenze. Come lei. Solo che io sono stato dall’81 al 91, lei è arrivato nel 2000 invece…”

“Dal 2002 ho potuto insegnare. Sono arrivato a Firenze poco dopo.”

Il discorso rimase sull’università di Firenze per un po': Draghi raccontò della sua esperienza e Conte confermò o smentì alcuni dei cambiamenti che l’ex-banchiere aveva immaginato per quella che per dieci anni era stata la sua seconda casa.

Scoprirono che, nonostante il lungo lasso di tempo che li aveva separati nelle rispettive carriere, avevano finito con il conoscere gli stessi posti e perfino le stesse persone (Draghi in versione più giovane).

“Quindi il signor Peppino lavorava ancora nel 2003.”

“Certamente! E odiava ogni singolo studente fuorisede!”

Si confrontarono anche sulle rispettive avventure e disavventure con i propri studenti: dagli strafalcioni agli esami, alle proposte di tesi più originali.

Il confronto si spostò sull’esperienza americana (a Yale come “docente inviato” per Conte, come studente ricercatore per un dottorato al M.I.T. per Draghi) dove però non c’era terreno comune.

“Me la toglie una curiosità, signor Draghi?”

“Prego.”

“È vera la storia che ho letto che lei si presentò non invitato dove sapeva che Franco Modigliani aveva una riunione e gli chiese una raccomandazione per entrare al M.I.T.?”

Durante le reminiscenze universitarie, gli occhi di Mario Draghi erano rimasti quasi sempre gelidi, salvo qualche situazione in cui si erano o velati o accesi per pochi secondi, giusto il tempo perché l’emozione venisse soppressa; aveva sorriso e qualche volta ridacchiato, ma mantenendo l’aplomb stoico che lo contraddistingueva.

A sentire quella domanda però, il controllo mancò per qualche secondo più del dovuto: gli occhi si incupirono e una strana smorfia storse il volto. Ma, come sempre, riprese con rapidità l’espressione gelida. Anche la voce, quando rispose, era robotica come sempre: “Diciamo che è una versione un po' romanzata, ma sì, le cose sono andate più o meno così. Non è stato certo uno scambio di pochi minuti, né di poche parole. Ma da giovane avevo… sì diciamo che avevo più faccia di bronzo di adesso.”

“Se posso permettermi, non l’ha perduta affatto.”

“Lo prendo come un complimento.”

“Dopotutto nel mio ufficio si è autoinvitato, quella famosa sera di due anni fa.”

“Sono passati già due anni? Il tempo vola… Un giorno sei all’università e poi, puf…” non pronunciò quella frase con particolare sentimentalismo, ma Giuseppe Conte notò che i suoi occhi si velarono più a lungo del solito.

“Lei ha fatto l’università negli anni sessanta, giusto?” domandò Conte servendogli dell’altro vino.

Draghi ricambiò il favore: “Mi sono laureato nel 1970, in tempo per tenermi lontano da tutta quella violenza che di lì a poco sarebbe esplosa.”

“Però il 68 se lo è fatto…”

“Beh, non si può sfuggire a tutto immagino…”

Draghi iniziò così casualmente a parlare della sua esperienza come studente della Sapienza e notò che Conte, per una volta, pendeva effettivamente dalle sue labbra. Anche se avevano frequentato la stessa università, in quel caso i quasi vent’anni di differenza che li separavano si sentivano molto di più che nell’esperienza di Firenze.

Conte iniziò a fare domande su piccole cose: se era vero che si fumava in classe, se esisteva un bar, se c’erano comunque state delle occupazioni in facoltà…

E Draghi, segretamente soddisfatto di averlo finalmente in una posizione vicina alla “sottomissione”, aveva finito con l’accavallare una gamba e l’abbandonarsi completamente al raccontare della sua esperienza di studente, facendo ben attenzione a non rivelare troppo di se stesso. Sentiva di divertirsi però e in questo aveva un ruolo anche il vino. Ormai la bottiglia era vuotata per più di metà e avevano perso il conto dei calici.

Aveva scelto quel vino, prezioso ma non troppo, proprio perché non aveva una graduazione troppo alta e quindi era convinto di reggerlo ancora meglio dell’amaro di Conte. Col passare del tempo aveva cercato di dare la colpa a quella bevanda del fallimento del loro primo incontro. Sapeva che era solo un capro espiatorio psicologico, anche perché c’erano state anche situazioni successive andate in bianco che non avevano visto la presenza di alcolici. Ma quello aveva deciso di credere.

“E ci fu qualche scandalo?” domandò Conte all’improvviso.

“Cosa intende per scandalo?”

“Nella nostra facoltà girava voce che una delle nostre colleghe avesse… ripassato, noi dicevamo così, il letto di ogni professore presente. Mi chiedevo se c’era una cosa del genere ai suoi tempi e nella sua facoltà.”

Mario Draghi fece un sorriso asciutto che non raggiunse gli occhi.

“Non c’erano molte donne nella nostra facoltà. Per me che venivo da un liceo esclusivamente maschile, già la possibilità di vedere le ragazze che frequentavano lettere o filosofia era tanto… ma era molto raro trovare una collega tra i corridoi. Certo, quando succedeva era una notizia… Comunque io e i miei compagni eravamo con la testa sugli esami, che erano molto pesanti, quindi non abbiamo mai reso la vita difficile a nessuna presenza femminile, per quanto ammetto che anch’io le vedevo come un’anomalia, ai tempi; non c’erano pettegolezzi particolari, no. Però… Forse posso raccontarle questo, senza fare nomi e cognomi, mi perdoni la battuta.”

Conte, senza smettere di fissarlo, sorrise e fece un cenno comprensivo.

Draghi bevve un altro sorso di vino e proseguì: “Una volta, era molto tardi e io ero rimasto a studiare in biblioteca con un mio amico dei tempi. Ci hanno praticamente cacciati fuori. Lui ha deciso di andare a vedere se intercettava qualche ragazza, appunto, nella facoltà di lettere. Io invece mi sono avviato in direzione opposta, verso l’uscita. E ho visto, seminascosti da una siepe, uno dei miei compagni di corso e un mio professore…” si interruppe e sorrise di nuovo “…e lei immagina cosa significasse una scena del genere in quel periodo storico. Sì, era il 68… ma appunto era il 68. C’erano ancora dei tabù molto forti. Non si sono accorti di me, ma io mi sono accorto di loro e li ho riconosciuti subito.”

“E allora ha capito?” domandò Conte.

Un lampo di sorpresa illuminò gli occhi di Draghi: “Prego?”

“Dico… quando li ha visti… ha provato qualcosa immagino… Avrà sentito qualcosa dentro di lei… altrimenti non saremmo qui questa sera, né saremmo stati nel mio ufficio due anni fa.”

Per un lungo minuto Mario Draghi rimase in silenzio, fissando gelido Giuseppe Conte, che tuttavia non distolse lo sguardo. Alla fine l’ex banchiere vuotò il suo calice tutto d’un fiato.

“Mi stavo chiedendo, appunto, siamo qui solo per parlare o per portare avanti la nostra partita? Direi che abbiamo conversato abbastanza, non trova?” la sua voce era una nota leggermente più bassa del solito.

“Non c’è niente di male, mi piacciono i suoi racconti.” Rispose calmo Conte.

“Lei cerca, disperatamente, in me qualcosa che non c’è. Sono un giocatore. Non ho altro da aggiungere. Non ho provato nulla nel vedere quella coppia proibita, se non sorpresa e una certa dose di ilarità. E uso questo termine per un motivo molto semplice: perché il professore era considerato una specie di asceta, mentre il mio compagno si vantava di essere uno sciupafemmine, allora si chiamavano così. E invece io li ho beccati lì a fare… gli adolescenti innamorati. Molto comico.” C’era un fremito nella voce dell’ex banchiere che non sfuggì a Conte. Era evidente che si stava trattenendo dall’esprimere un qualunque sentimento e che era agitato. Anche il fatto che avesse parlato di “sorpresa” e “ilarità” e non di “disgusto” non passò inosservato all’ex premier, che però decise che lo aveva stuzzicato abbastanza e non voleva provocarlo oltre.

Stava per riportare il discorso su aneddoti più semplici quando Mario Draghi indicò una delle poltrone: “Visto che le mie avventure sembrano interessarla molto, voglio raccontarle una cosa. Vede quella poltrona?”

Conte non aveva prestato molta attenzione a come era fatto l’arredamento. Ma in quel momento si rese conto che tutte e tre le poltrone, come lo stesso divano, erano in pelle. Ce n’erano tre in tutto: una rossa, una bianca come il divano e una nera. Draghi stava indicando quella nera.

“Quella poltrona è stata testimone di una delle mie serate migliori. In compagnia di una nostra conoscenza comune…”

“Provo a indovinare: Renzi.”

A sentire quel nome, gli occhi di Draghi sbrilluccicarono per un momento: “Esatto. Ora non so se si ricorda, c’è stato un momento molto imbarazzante durante il mio mandato, nel quale il direttore di un’importante quotidiano del paese si è permesso, su un palco, di chiamarmi ‘Figlio di papà’.”

Giuseppe Conte annuì, sapeva bene a chi si riferiva: era stata una frase pronunciata da Marco Travaglio, il direttore del “Fatto Quotidiano”, poco dopo che Draghi si era confermato come nuovo presidente del consiglio.

“Ora, io sono uno che incassa molto bene qualsiasi insulto; francamente per quanto mi riguardava non avrei nemmeno dato peso alla cosa. Ma il senatore Matteo Renzi ci teneva talmente tanto a difendermi, da arrivare a ricordare a tutto il paese del fatto che io sono rimasto orfano di padre a quindici anni…” gli occhi al di là delle lenti degli occhiali si illuminarono di una fiamma rabbiosa “inutile dire che non ho affatto apprezzato questa difesa.”

Conte non commentò, fece solo un cenno comprensivo, ma vedere quella fiamma di rabbia, la stessa che aveva brillato due anni prima dentro al suo ufficio, gli trasmise comunque un brevissimo brivido di terrore lungo la schiena.

“Sono un uomo riservato. Se devo dire qualcosa sulla mia infanzia, sulla mia vita, su di me in generale, voglio essere io a farlo e non un terzo incomodo.” Proseguì Draghi e anche la sua voce si tinse di un tono più rabbioso che freddo.

“Comprensibile.” Mormorò Conte.

“Ebbene, due sere dopo quella difesa non richiesta, seduto su quella poltrona, ho dato al senatore Renzi la lezione che meritava…”

Giuseppe Conte, per la prima volta, si vide costretto a distogliere lo sguardo dal volto dell’altro uomo: il suo volto era mutato distorcendosi in un’espressione di gioia crudele.

Vedendo che per la prima volta l’altro non era in grado di guardarlo negli occhi, Draghi sorrise ancora di più: “Non è curioso di sapere cosa gli ho fatto?”

Senza alzare lo sguardo, Conte cambiò argomento: “Non penso che quel ‘Figlio di papà’ possa essere inteso come un insulto. In fondo, siamo un po' tutti figli di papà, per fare questo mestiere. Poi se non sbaglio, suo padre è stato un banchiere, come il mio è stato un politico. Questo sicuramente ha influito sulle nostre vite. Magari più che figli di papà, siamo figli d’arte.”

Giuseppe Conte rialzò gli occhi e vide che il volto di Mario Draghi era tornato normale. Il sorriso aveva lasciato il posto a un’espressione neutrale, mentre gli occhi, invece di due fessure, erano aperti per la sorpresa.

La bocca si piegò di nuovo in un sorriso asciutto: “Figli d’arte… mi piace come definizione.”

“Ne sono felice.”

“Quest’anno anche lei ha perduto suo padre…”

Le parole colpirono Conte. Distolse lo sguardo di nuovo perché il ricordo gli provocava ancora un certo effetto. Sentì gli occhi inumidirsi: “Il quattro agosto di quest’anno, sì.”

“Condoglianze.” Aggiunse Draghi “E scusi se l’ho detto. È che immagino lei possa capirmi quando dico che non è bello sentire terzi parlarne. Onestamente, non capisco come mai questa morbosità, anche da parte della stampa sulla questione. Si ricorda quando ci siamo incontrati privatamente qualche tempo fa e lei si è lamentato con me di come la stampa fosse sempre servile nei miei confronti? Beh io allora non gliel’ho detto, ma nonostante tutto, sono riusciti comunque a darmi fastidio in quel periodo, soprattutto con questa storia dei miei lutti.”

Quando Draghi aveva tirato fuori suo padre, Giuseppe Conte aveva pensato a un deliberato atto di crudeltà da parte sua, un tentativo di dominio psicologico attraverso una ferita ancora fresca. Invece, sia dal discorso che dal tono, capì che c’era davvero una ricerca di comprensione. Goffa e inusuale, ma non aveva parlato per ferirlo.

Quando alzò lo sguardo, vide che l’ex banchiere non lo stava fissando: gli occhi, tornati furiosi, fissavano il calice di vino.

“Forse…” azzardò Conte “… c’è solo una ricerca di umanità nella sua storia.”

“Non vedo perché cercarla nell’evento che me l’ha tolta.” Sbottò Draghi con la voce talmente controllata e robotica da risultare rotta.

Seguì un lungo silenzio, rotto solo dal lontano ticchettio dell’orologio della cucina.

Draghi continuava a fissare il suo calice; era consapevole di quello che aveva finito col rivelare di se stesso, forse condizionato dal vino, forse dalla rabbia di quella partita che non riusciva a controllare.

Si sentiva gli occhi di Conte addosso e a parte quella perdita di contatto momentanea quando avevano parlato di Renzi prima e del lutto poi, non aveva indietreggiato neanche una volta.

Mario Draghi mandò giù quanto restava del suo calice. Si alzò e senza dire una parola andò verso la camera da letto. Conte lo seguì.

Una volta lì, l’ex banchiere indicò il cassettone: “Nel primo cassetto ci sono degli strumenti… ma non li tocchi per adesso. Nel secondo ci sono altre cose: dovrebbe esserci un risiko, una scacchiera, una scatola con dei pezzi per la scacchiera, delle carte da gioco e una moneta d’oro in una custodia blu.”

Giuseppe Conte decise comunque di aprire anche il primo cassetto: osservando il contenuto arrossì e lo richiuse con un pizzico di violenza in più rispetto a quando lo aveva aperto.

Mario Draghi, osservandolo, si lasciò sfuggire una risatina.

“Ha intenzione di usare qualcosa con me?” domandò Conte.

“Ogni cosa a suo tempo. Prenda la moneta.”

Conte aprì il secondo cassetto e vide che c’era anche un Monopoli. Frugando, trovò la piccola custodia in velluto blu e aprendola vide che al suo interno c’era effettivamente una moneta d’oro.

“Ha presente ‘testa o croce’? Beh, ne ho fatta coniare io personalmente una per questo gioco: noterà che c’è solo un profilo umano su un lato, stilizzato, e una semplice X dall’altro.”

“Vedo.”

“Scelga uno dei lati. Io prenderò l’altro. Se vincerà lei, seguirò i suoi ordini. Se vincerò io, lei seguirà i miei.” Mario Draghi parlò con tono freddo e insieme autoritario. Non era una proposta, ma una legge.

Conte scosse la testa: “Non mi sembrano condizioni accettabili…”

“È abbastanza evidente che io e lei viaggiamo su piani diversi. A questo punto vorrei metterci una pietra sopra in modo definitivo. Almeno per stasera.”

I due uomini si fissarono in silenzio, Draghi aveva ripreso la sua maschera gelida, Conte non riusciva a sfoderare il suo sorriso sornione con cui aveva tenuto le redini della loro partita per tutto quel tempo.

Si rendeva conto che dicendo di no anche a quelle condizioni, rischiava di protrarre la loro partita ancora più a lungo. E no, non lo voleva fare. La cosa stava iniziando a essere pesante anche per lui. Sospirò: “Croce.”

La bocca di Draghi si inclinò leggermente in un sorriso subito represso: “Allora per me vale la testa.”

“Vorrei aggiungere una cosa.”

“Prego.”

“Se vinco io, lei non solo obbedirà ai miei ordini, ma risponderà a ogni mia domanda… E questo vale anche per me. Accetta?”

Mario Draghi si irrigidì, consapevole di dove poteva condurlo accettare quella condizione. Ma dopo alcuni secondi emise un “Accetto” tra i denti.

“La tiri lei.” Conte gli porse la moneta.

Draghi la prese.

“La lascerà cadere per terra? O la prenderà al volo?”

“Di solito va per terra…”

“Un’altra cosa. Se la moneta resta in equilibrio che facciamo?”

Draghi inarcò un sopracciglio: “Sul serio?”

“Può capitare, dopotutto.”

“Se resta in equilibrio ci salutiamo e organizziamo un altro incontro sempre qui.”

“Va bene.”

Con uno schiocco di dita, Draghi lanciò la moneta in aria; la stessa svolazzò per qualche secondo, poi atterrò, rimbalzò, girò in perfetto equilibrio per alcuni secondi e infine si rovesciò su un lato.

Uscì la croce.

Notes:

Per saperne di più sulle parole di Marco Travaglio e sulla difesa di Draghi da parte di Matteo Renzi: https://www.huffingtonpost.it/politica/2021/07/26/news/travaglio_draghi_figlio_di_papa_che_non_capisce_un_c_-5196116/

Chapter 7: 4 ottobre 2025 – Casa sicura Ore 21:00 (Parte 2)

Chapter Text

4 ottobre 2025 – Casa segreta

Parte 2

Ore 21:00

 

I due uomini rimasero in silenzio a fissare la moneta sul pavimento. Solo allora Giuseppe conte notò che era uniforme e di colore nero. Non era parquet, né piastrelle, ma una specie di lastra nera che copriva tutto il perimetro della stanza.

Poteva permettersi quel pensiero perché quella croce era la sua salvezza, non doveva prepararsi mentalmente a nulla.

Alzando lo sguardo notò che invece Draghi appariva teso ed era leggermente impallidito.

L’ex-banchiere chiuse gli occhi e sospirò. Si stropicciò le palpebre sollevando inevitabilmente gli occhiali, che tolse e ripose nell’astuccio che teneva in tasca.

“È uscita la croce… ha vinto lei…” mormorò senza guardarlo.

Giuseppe Conte sorrise.

“Prima di iniziare, vorrei chiederle che piani ha con me esattamente… in modo da poterli eseguire al meglio.” Per quanto cercasse di mantenere il tono robotico, la voce di Draghi era leggermente tremolante. E continuava a evitare i suoi occhi.

Giuseppe Conte fu tentato di prendergli il mento e girargli il viso, cosa che Draghi aveva una volta fatto con lui, ma si trattenne: “In realtà nessun piano particolare. Sono un gentiluomo, ricorda? I miei rapporti sono sempre stati alla pari, o come amavano dire i giocatori internazionali ‘au pair’, ma questo lei l’avrà già saputo.”

“Quindi lei ha intenzione di giocare così: au pair.”

“Non ho motivo di comportarmi diversamente.”

“Allora ho una richiesta io: vorrei essere bendato.”

Giuseppe Conte si sorprese. Ci pensò. Poi disse: “Se pensa che potrà esserle d’aiuto… Dal canto mio io indosserò il preservativo.”

Fu solo allora che Draghi finalmente lo degnò di uno sguardo, sbieco, stupito e anche un po' risentito.

“Lo indosso sempre.” Si giustificò Conte.

“Me lo avevano detto…. Solo che non pensavo fosse vero…”

“Se non le dispiace vado a usufruire anche di quella bella doccia che ho visto in bagno. Ho lavorato tutto il giorno e non ho avuto tempo. Immagino che lei se la sia fatta a casa…”

“Ci sono saponi e deodoranti nell’armadietto e anche degli asciugamani. Usi tutto e lo lasci dove vuole. Ci penserà il servizio di pulizie.” Mormorò Draghi, sempre immobile, di nuovo intento a fissare il letto.

Giuseppe Conte lo lasciò lì e andò a sciacquarsi, non prima di aver appoggiato il preservativo sul comodino. Si rese conto solo allora di quanto in realtà era stato teso e nervoso, arrivando a sudare freddo.

“Qualcosa mi dice che l’ho scampata bella…” pensò. Nell’armadietto c’erano anche degli asciugamani grandi e puliti e ne utilizzò uno per coprirsi, lasciando i vestiti ben piegati su una sedia presente in un angolo.

Quando ritornò nella stanza da letto, anche Draghi si era spogliato. Aveva rimesso a posto la moneta e si era bendato da solo, prendendo la benda dal primo cassetto.

Era seduto con la schiena dritta e le mani congiunte in grembo. Si capiva però che stava facendo uno sforzo a mantenere la freddezza.

Giuseppe Conte lo osservò e si rese conto che era meno magro di quando era presidente. Prima di avvicinarsi, andò anche lui a esplorare il primo cassetto. Trovò un lubrificante e lo poggiò vicino al preservativo. Poi tornò dall’altro e gli carezzò il viso.

“La trovo bene.” Disse.

Mario Draghi borbottò un “grazie” girando la testa verso la direzione opposta.

Giuseppe Conte lo spinse con fermezza più in là. L’altro fece per stendersi, ma lui lo tenne seduto abbracciandolo e gli diede un bacio.

L’intensità fu la stessa del loro primo incontro e delle altre occasioni (andate a vuoto), ma Mario Draghi non ricambiò il suo abbraccio. Ricambiò il bacio, ma le sue mani strinsero forte le lenzuola.

Separandosi da lui e carezzandogli la schiena, Giuseppe Conte lo studiò: come in ogni altro incontro, cercava di non lasciarsi andare, o comunque di non farlo vedere.

Si rese conto che si trovava in una posizione molto particolare: non aveva alcuna intenzione di fargli del male, ma inevitabilmente glielo stava facendo; per un uomo abituato a giocare sempre con le sue regole, doveva essere tremendo ritrovarsi sottoposto a quelle di un altro. E infatti non mostrava alcun segno di eccitazione.

Provò a dargli un altro bacio. Durò più a lungo del primo, ma non ebbe l’effetto desiderato.

“Ricorda il nostro accordo? Deve rispondere a ogni mia domanda…” gli sussurrò nell’orecchio mentre riprendeva fiato.

“Lo rispetterò.” Mormorò l’altro “Spero solo non sia un trucco per trasformare la nostra partita nell’ennesima chiacchierata.”

“Sarei curioso di sapere di più sul suo compagno e sul suo professore.”

Una strana smorfia distorse il viso dell’ex banchiere. Ma l’effetto del ricordo si manifestò.

Conte abbassò la mano e massaggiò quel principio di erezione.

“Allora mi spieghi: cosa intendeva dire con ‘adolescenti innamorati’, quando parlava di loro?”

Un gemito mal trattenuto. Tra i denti, Draghi mormorò: “Lei sa quali tasti premere…”

“Fa parte del mio charme… oppure è una deformazione professionale, chissà…”

La mano aumentò la velocità.

“Allora?”

“Loro… Non ho visto molto in realtà… C’erano dei baci… poi lo studente si è messo in ginocchio. A quel punto… Me ne sono andato.”

“È scappato via?”

L’ex banchiere si lasciò sfuggire una specie di risatina: “In effetti sì, è stata proprio una fuga…” Gemette di nuovo e inarcò la schiena.

Giuseppe Conte sorrise e gli sussurrò: “Cosa ha immaginato… quando è tornato a casa?”

L’ex banchiere digrignò i denti. Sentì la mano dell’altro lasciarlo per carezzargli l’inguine e non gli fece piacere.

“Allora?”

Capì che l’unico modo perché riprendesse a massaggiarlo era rispondere: “E va bene: mi sono immaginato tutto il dopo.”

“Voleva essere il ragazzo o il maestro?”

“Tutti e due.”

Conte ridacchiò, un po' sorpreso da quella risposta sussurrata tra i denti. Spinse il corpo dell’altro contro la spalliera e prese il lubrificante per bagnarsi le mani. Quando tornò a massaggiarlo, Draghi soffocò un gemito. Le sue dita erano chiuse così strette da avere le nocche sbiancate.

“Perché non vuole ammetterlo? Perché non vuole ammettere di essere… come me?”

“Perché non lo sono!” esclamò l’altro aggrappandosi alla spalliera. Ansimò pesantemente.

“Non vuole abbracciarmi?” domandò Conte lasciandolo nuovamente andare.

“N-No..”

“Lo faccia. È un ordine…”

Il corpo dell’ex banchiere tremò violentemente. Ma quando Giuseppe Conte lo attirò a sedersi a cavalcioni su di lui, lasciò andare la spalliera e poggiò le mani sui suoi fianchi per reggersi.

In quel momento entrambi i loro membri si trovarono a contatto. Draghi, che cercava senza successo di controllare il respiro, lasciò uno dei fianchi e con la mano provò a sentire l’intimità dell’altro. Gli sfuggì un “Oh” di sorpresa “Dunque i complimenti che mi hanno raccontato di lei sono veri…” riposizionò la mano sul fianco.

“Vuole togliersi la benda per guardare?”

“No… No io…” digrignò i denti.

“Lo dica. Dica che lo vuole sentire.”

Prendendo un profondo respiro, Draghi esclamò: “Lo voglio sentire.”

Conte gli diede un bacio, lo strinse forte e scese con le mani fino in fondo alla schiena. Provò a penetrarlo con delicatezza con un dito, facendolo sobbalzare, andando a sbattere la testa contro la sua guancia.

“M-Mi scusi…”

“Non si preoccupi... Lei non è stato spesso sotto, vero?”

Riuscì a infilare l’indice, il muscolo sorprendentemente si rilassò quasi subito. Lo sentì lanciare un lungo gemito e le mani strinsero forte il suo corpo.

Anche Conte allora gemette, per il dolore: aveva ancora una certa forza negli arti. Ammirevole per la sua età.

“No… Non tanto spesso, non con un uomo… solo agli inizi… per imparare…”

“Con le donne è diverso?” mentre con una mano lo stava preparando, con l’altra aveva ripreso a massaggiarlo. Ma aveva preso tra le dita anche il suo membro, strofinandoli inevitabilmente l’uno contro l’altro.

“C-Credevo lo sapesse… Io UGH! Io non tratterei mai una donna a quel modo…”

Si stavano accaldando molto entrambi; piccole gocce di sudore scesero dalla fronte di Draghi e così da quella di Conte.

“Questo spiega la diversità dei racconti…” Conte gli stava sussurrando nell’orecchio “…In effetti le donne parlavano di lei in un modo e gli uomini in un altro… ma sa, si può avere un rapporto piacevole anche senza bisogno di dominio o vincoli… Questo che stiamo facendo noi ad esempio…”

“È solo un’eccezione…”

“Una piacevole eccezione, non trova?” introdusse un secondo dito.

Sentì il corpo dell’altro scosso da tremiti e finalmente lo abbracciò. Si aggrappò con le dita alle sue stesse braccia per non perdere l’equilibrio.

“È sicuro che si può fare… da seduti?”

“Sono ben allenato… io adoro questa posizione… è perfetta… da pari a pari. Attendo che lei si senta pronto… Se deve tenersi con le braccia può anche lasciarmi andare.”

Come se non aspettasse altro, Draghi tornò a stringere le lenzuola. Fece un cenno di assenso con la testa.

Conte si mise il preservativo, lo sollevò e lo aiutò a sedersi su di lui penetrandolo con un gemito. Draghi strinse forte i denti e fece forza sulle braccia così da non caricare troppo peso. Poi cominciò a muoversi su e giù. Il viso era diventato completamente rosso.

Conte teneva la mano sinistra sulla coscia per aiutarlo nel movimento, mentre con la destra continuava a massaggiarlo. L’erezione era pulsante e vicinissima al culmine.

Concentrarsi sul movimento però era difficile, perché anche lui si sentiva sempre più vicino.

“Oddio…” ansimò Conte. I movimenti erano perfetti; gli venne il dubbio che l’ex banchiere gli avesse mentito: era troppo preparato per non esserci mai stato in quella posizione. Si stava muovendo sempre più in fretta.

“L-Le piace?”

“Lei che ne pensa!?” per la prima volta sentì la sua voce avere un suono umano. Gli fece impressione perché molto diversa dal tono con cui di solito parlava.

Sentì che stava perdendo l’equilibrio. Lasciò andare la coscia per appoggiarsi e poco dopo venne con un urlo.

A quel punto Draghi lo abbracciò nuovamente e gli morse l’incavo del collo, mentre esplodeva nella sua mano. L’urlo venne così soffocato direttamente sulla pelle di Conte, trasformandosi in un suono grottesco.

Quando si distaccò per riprendere fiato, crollò sul letto.

Conte finì al suo fianco, provò a baciarlo, ma Draghi gli diede immediatamente le spalle. Si infilò sotto il lenzuolo, tirandolo fino alla nuca e si rannicchiò in posizione fetale. Respirava ancora affannosamente, ma stava gradualmente riprendendo il controllo. Quando parlò anche la voce era tornata robotica: “Spero di non averla fatta sanguinare.”

Approfittando del grande specchio alla parete, Giuseppe Conte si guardò il segno del morso ricevuto.

“Al massimo avrò un po' di livido…” ansimò.

Draghi non disse niente.

Conte lo osservò ma decise di non forzare nulla. Aveva capito che per lui era già stato uno sforzo considerevole stare ai suoi ‘ordini’. Tornò al bagno dove si fece un’altra doccia. Era tutto sommato soddisfatto di come erano andate le cose.

Prese i vestiti e li riportò in camera. Vide che Mario Draghi si era tolto la benda ma restava immobile sotto le lenzuola.

“Le spiace se mi rivesto?” gli domandò.

“No. Purtroppo comincio a sentire il peso dell’età… più di una volta mi è diventato impossibile.”

Giuseppe Conte indossò con cura i vestiti, osservando l’altro attraverso lo specchio: il volto aveva perso il rossore ed era tornato inespressivo.

“Sono… Sono stato bene…” mormorò all’improvviso l’ex banchiere.

Conte sorrise sotto i baffi.

“Sono felice che con le domande ha mantenuto un certo contegno…”

“Mi fa piacere.”

“Non ha avuto il coraggio di chiedermi che cosa ho fatto al senatore Renzi.”

Conte, che si stava facendo il nodo alla cravatta, sobbalzò: “No in effetti no… Non sono sicuro di volerlo sapere però…”

“Voglio raccontarglielo lo stesso. Ho invitato il senatore Renzi qui, ma prima che arrivasse ho cosparso il pavimento di ceci.. Sa, io c’ero quando esisteva ancora quella punizione a scuola. Si usava molto meno, ma ancora esisteva. Lui invece la conosceva solo dai racconti…”

Attraverso lo specchio, Giuseppe Conte vide di nuovo quel ghigno terribile formarsi sul volto dell’uomo. Teneva gli occhi chiusi, ma era sicuro che sotto le palpebre stavano brillando di quella gioia spaventosa che aveva visto durante la bevuta.

“Poi mi sono seduto alla poltrona. Il senatore si è spogliato ed è stato in ginocchio sui ceci a obbedirmi per tutta la notte…”

Giuseppe Conte sentì un brivido di terrore lungo la schiena. Aveva finito di vestirsi. Andò a sedersi sul letto mantenendo però le distanze.

“Ha pensato a questa cosa per caso? Mentre era con me?”

Mario Draghi spalancò gli occhi e lo fulminò con lo sguardo, sollevandosi leggermente dal bozzolo che si era creato: “Che razza di domanda è?!”

“Perché ci tiene tanto a farmelo sapere allora? Vuole spaventarmi?”

“Credevo le avrebbe fatto piacere… So che non le è per niente simpatico.”

“Non lo è infatti. È un uomo con cui voglio avere il meno possibile a che fare. Proprio per questo preferirei non parlarne.”

Mario Draghi smise di fissarlo e si rannicchiò nuovamente dandogli le spalle.

“E mi dica, sarebbe capace di fare una cosa del genere anche a me?!”

Mario Draghi non rispose. Giuseppe Conte attese. Ma vedendo l’altro che restava silenzioso, sbuffò e si mise le scarpe: “Io vado allora.”

“Avevo in mente delle cose…”

Conte si tese. La voce dell’altro, per quanto impastata dalla stanchezza, aveva perso il tono robotico. Era la ‘versione umana’ che aveva già avuto modo di sentire.

“Avevo in mente tante cose… ma ora è cambiato…” non finì la frase perché si addormentò.

Giuseppe Conte lo osservò a lungo. Prima di andare via spense la luce. Gli poggiò anche una mano sulla spalla, ma alla fine decise di non svegliarlo.

Lasciò l’appartamento e riaccese il telefono. Il display gli segnalò che erano le dieci passate. Aveva inoltre dei messaggi e un paio di chiamate perse.

Si guardò intorno; avevano proprio scelto bene la via per una casa come quella: un tipico vicolo centrale romano, poco illuminato, stretto e senza negozi (c’era in realtà una bottega ma aveva il cartello ‘vendesi’ cancellato dal tempo). Le vie perpendicolari, una a est e l’altra a ovest, brulicavano di turisti, ma ignoravano completamente quel cupo corridoio scuro che le univa.

Mentre si apprestava a lasciare quell’oscurità e sentiva sempre più vicino il rumore della movida, Giuseppe Conte fu scosso da un nuovo brivido sulla schiena. Capì che la partita aveva avuto una svolta, ma non era ancora finita.

“Il Gioco è una maledizione: quando ci entri non ne esci più. Anche se perdi il potere.”

Quella frase gli venne in mente e ripensò anche alla prima volta che l’aveva sentita.

E pensò con amarezza che era proprio vero.

Chapter 8: 10 luglio 2021 Ore 14

Notes:

(See the end of the chapter for notes.)

Chapter Text

10 luglio 2021

Ore 14

 

Mario Draghi aveva ufficializzato il suo governo il 13 febbraio, circa dieci giorni dopo la sua “prima partita” con Conte.

Da allora ne era passata di acqua sotto i ponti e c’erano stati altri incontri tra loro, lontano dagli occhi del pubblico. Ma nessuno di questi si era mai concluso in modo soddisfacente.

Una cosa a cui Mario Draghi cercava di non dare peso.

Ma quel giorno, quel 10 luglio, era diverso.

Il giorno prima, un grigio impiegato gli aveva consegnato il rapporto ufficiale dell’incidente della Marmolada: il conto finale era di 11 morti e 8 feriti. Una tragedia come tante del passato e sicuramente destinata a ripetersi nel futuro. Ma per Draghi era stata la prima a cui aveva assistito come presidente del consiglio. E quando era andato a presenziare sul luogo del disastro, per poco non ci aveva rimesso la vita anche lui.

Il suo elicottero si era trovato in mezzo agli improvvisi capricci del tempo e si era anche pensato a un atterraggio di emergenza. Ma poi le cose erano andate per il meglio e lui era arrivato giusto in tempo per parlare alla stampa, verificare la situazione, mostrare la sua vicinanza e tutte quelle altre operazioni di rito.

In piedi davanti a una finestra chiusa di palazzo Madama, osservava la città di Roma bruciare sotto il sole cocente estivo.

Pensava, osservando quel panorama all’apparenza così pacifico e immobile, che la politica effettivamente era anche quello: presenziare a luoghi di disastri e incidenti, ascoltare le vittime, andare ai funerali… Ma un conto era guardarlo da fuori, attraverso i TG, un altro viverlo di persona.

Gli tornò in mente una cosa che gli era stata detta molti anni prima: “Il cinismo, la freddezza, l’autocontrollo, la mancanza di empatia sono ottime forme di autodifesa finchè non c’è un coinvolgimento personale.”

Una frase che in quel momento capiva perfettamente.

Fece un respiro profondo e si stropicciò gli occhi.

“Buon pomeriggio, presidente Draghi.”

Il saluto lo colse di sorpresa, anche perché ripensare a quanto capitato gli aveva portato i nervi a fior di pelle. Sobbalzò e si voltò di scatto, ritrovandosi vicino Giuseppe Conte che sorrideva sornione.

Ristabilendo una certa freddezza, eseguì un piccolo inchino.

“Onorevole Conte…”

“La credevo a lavorare nel suo ufficio.”

“Ho bisogno di fare una pausa anch’io, di tanto in tanto.”

“I giornali non lo pensano. Hanno sempre parole e domande buone per lei e la vedono come un supereroe. Con me non sono mai stati tanto gentili.”

Draghi non si scompose di fronte a quel commento, ma un bagliore gli illuminò gli occhi per un attimo: “Devo dedurre che a lei piace guardare le mie conferenze stampa.”

“Tutti quelli che partecipano a un governo devono vedere come si esprime il capo in carica.”

Come in passato, Conte reggeva perfettamente il suo sguardo. Draghi lo fissò dritto negli occhi, in silenzio, per un po' prima di tornare a concentrarsi sulla città.

“Allora immagino che avrà visto la penosa scena alla Marmolada…”

“In realtà è stato bello vederla umano per una volta. Almeno così può dire che non l’ho vista solo io in uno stato di vulnerabilità.”

Una delle mani dell’ex banchiere si strinse in pugno. Non replicò, non ricambiò lo sguardo dell’altro, che intanto si era messo vicino a lui e aveva trasformato il sorriso in una smorfia più malinconica.

“È stato veramente un viaggio così sconvolgente?” domandò Giuseppe Conte.

Mario Draghi emise quello che era a metà tra uno sbuffo e un sospiro e disse: “Non è stato solo il viaggio il problema. Sì, quello è stato pesante… se davvero quei poveracci hanno incontrato quel tempaccio a terra, non è colpa loro se non sono riusciti a scappare in tempo. È stato anche tutto il dopo: l’incontro con i vigili del fuoco e gli alpini, la sala di controllo… e poi c’era la mano.”

“La mano?”

“Quando sono arrivato era appena stata ritrovata una vittima, la mano stava uscendo da una buca nella neve che stavano scavando…” si interruppe e tacque per diversi minuti.

Giuseppe Conte rispettò il suo silenzio.

“Queste cose non le vedi se dirigi una banca. Se le mostra il telegiornale sì. Altrimenti no. Poi i racconti girano. Le voci girano… e io di morti comunque ne ho visti. E sono stato a molti funerali… Ma quello… quello è stato diverso. L’ho dovuto ammettere a me stesso: è stato diverso.” Draghi parlò con la voce robotica leggermente incrinata.

Questa volta, Conte prese la parola: “Se vuole restare al potere dovrà farci l’abitudine… Tra il cambiamento climatico e le guerre in corso, ci aspettano molti disastri. Questo fa parte del mestiere. Lei non è un politico, quindi non lo ha mai pensato. Ma..”

“Come ha detto scusi!?” lo interruppe Draghi finalmente guardandolo negli occhi.

“… Che dovrà farci l’abitudine.”

“Dopo. Cos’è che non sarei io?”

Giuseppe Conte si lasciò sfuggire un sorriso: “Un politico. Lei non nasce come politico. È anche per questo che si trova dov’è adesso: non per quello che è, ma per quello che non è.”

Gli occhi di Mario Draghi si riempirono di rabbia. Non provò neanche a nasconderlo quel sentimento, nemmeno nella voce: “A lei piace proprio giocare con il fuoco, signor Conte.”

Giuseppe Conte non si intimidì; mantenne il sorriso e rispose: “Sto dicendo la verità dunque… Le fa male sentirselo dire, signor Draghi?”

Il viso dell’altro si avvicinò e gli rubò un bacio.

Quello Conte non se lo aspettava. Felice di averlo colto di sorpresa, Draghi lo afferrò per i polsi: “Sono qui da indipendente. Nessuno mi ha costretto a salire al potere e rappresento esclusivamente me stesso… Gliel’ho detto quando era ancora presidente lei… e continuerò a ripetere questa versione…”

“Se a lei piace raccontarsela così… Vedo però che ancora non è felice di essere rimasto a bocca asciutta l’ultima volta…” Conte aveva superato la sorpresa ed era tornato a sorridere sornione.

Draghi, stringendo forte i polsi, gli portò le mani dietro la schiena: “Lei conosce la mia fama… Accetto i no, ma non mi si sfugge facilmente…”

“Certo che lei si diverte comunque tanto a giocare…”

“Non lo faccio per divertimento.”

“No? Dall’impegno che ci sta mettendo con me avrei detto il contrario.”

“Il Gioco è una maledizione: quando ci entri non ne esci più. Anche se perdi il potere.” Esclamò Draghi fissandolo serio.

La frase colpì molto Conte, anche perché sembrava del tutto fuori contesto. Ma nel profondo ne capì il significato. Senza smettere di sorridere gli sussurrò sulle labbra: “Dunque… Devo dedurre che lei non avrà pace finchè non sottometterà anche me.”

Una rumorata violenta li costrinse a dividersi in fretta: qualcuno era uscito come un uragano da uno degli uffici e stava passando sul corridoio.

I due uomini vennero raggiunti dal senatore Matteo Salvini, che trovandoli lì, fianco a fianco davanti alla finestra, li osservò sorpreso.

“E voi che ci fate qui?”

Mario Draghi, tornato gelido, lo fissò con lo stesso sguardo con cui avrebbe fissato un piccione investito per strada: “Buon pomeriggio anche a lei, senatore Salvini…”

“Beh, io me ne torno a lavorare in ufficio.” Esclamò Giuseppe Conte con tono allegro “Magari ne parliamo meglio in sede parlamentare, che dice presidente?”

Mario Draghi tornò a fissarlo: “Sicuramente avremo altre occasioni per discuterne…”

“Ottimo. Arrivederci allora! Salvini, buona giornata!” e si allontanò a passo veloce.

Appena Conte svoltò l’angolo, Salvini domandò a Draghi, che era tornato a fissare la città fuori dalla finestra: “Di che stavate parlando?”

Draghi non lo degnò di uno sguardo, ma rispose: “Di muffa.”

“Di muffa?!” domandò stupefatto Salvini.

“Sì. Ho della muffa su un muro di casa e volevo sapere come occuparmene.”

“E questo è da sede parlamentare?”

“È pieno di muffa anche in parlamento…” Draghi inclinò appena il volto, abbastanza per incrociare il suo sguardo. Poi tornò a fissare la finestra “…Anche se a volte non si vede.”

Matteo Salvini, che non aveva intuito la natura allusoria del commento, sbuffò: “Ci sarebbero cose più importanti da fare… comunque sto ancora aspettando di essere convocato per quell’incarico.”

“Abbia pazienza.” Mormorò Draghi.

“Torno al lavoro. Arrivederci presidente.”

Draghi borbottò un saluto. Quando fu finalmente solo si seppellì il volto tra le mani e digrignò i denti.

“Meglio che vada da Renzi…” pensò ad alta voce prima di allontanarsi.

Notes:

Qui per vedere le dichiarazioni di Mario Draghi (dove era evidentemente provato) a cui si fa riferimento nel capitolo: https://www.youtube.com/watch?v=fHU_AnCKCAU

Chapter 9: 19 ottobre 2023 – Collegio Nazareno, sede del PD Ore 20:30

Notes:

(See the end of the chapter for notes.)

Chapter Text

“Renzi?” Elly sbucò all’angolo della strada deserta.

Era spaventata, in fuga. Doveva andarsene, doveva raggiungere Paola e gli altri le diceva la testa.

Ma quando lo vide lì al centro che si girava verso di lei, non potè non fermarsi.

Matteo Renzi provò a dirle qualcosa ma le parole furono indistinguibili, sorrideva mentre parlava.

L’assalto accadde poco dopo.

Erano incappucciati o con i volti coperti da caschi, tutti vestiti di nero. Sbucarono da dietro di lui e corsero verso di lei.

Elly provò a scappare ma sentiva le gambe pesanti, a malapena riuscì a fare qualche passo. Le furono addosso in pochi secondi.

Poi, come in un film, la scena mutò all’improvviso, passando dall’esterno all’interno.

La stavano trasportando in due. Ciascuno la teneva per uno degli avambracci. I polsi erano saldamente legati dietro la schiena e la corda stringeva anche il resto delle braccia. Sentiva un tintinnare di catene sotto di lei. Le avevano ammanettato le caviglie.

Attorno c’era un odore acre di fumo, come se fosse scoppiato un incendio.

Una porta fu aperta e la gettarono a terra, in una stanza poco illuminata e con l’intonaco pieno di crepe.

“L’abbiamo trovata che tentava di scappare, la zecca…”

“Lesbica del cazzo.”

Le sputarono sulla nuca.

Distesa per terra distinse solo un paio di stivali militari neri intenti a pestare una sigaretta.

“Molto bene ragazzi, ottimo lavoro. Da qui in poi proseguo io.”

Riconobbe subito la voce. I due energumeni che l’avevano portata dentro lasciarono la stanza chiudendosi la porta alle spalle.

Osservò gli stivali avvicinarsi a lei poi calciarla lievemente per girarla. Fu così che potè vedere chi li portava e confermare quello che le sue orecchie avevano già capito.

“Ex-onorevole Schlein, buonasera.”

Giorgia Meloni indossava una divisa militare completamente nera, molto simile a quelle dei fascisti degli anni 20. Teneva i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo e sorrideva sardonicamente. Le poggiò un piede sull’inguine e si chinò verso di lei: “Sono felice di averti ripescato in tempo… sarebbe stato un peccato se tu non avessi assistito al mio primo discorso…”

Elly provò a parlare ma le parole non le uscirono.

Giorgia si chinò ancora di più aumentando la pressione del piede: “Il primo discorso da presidente unico… stiamo per stracciare la costituzione e farne una nuova. Poi sarà il momento di scegliere i ministri e i ministeri. Poi quello di fucilare i traditori. Almeno quelli che riterrò io da fucilare.”

Tolse il piede e la sollevò con entrambe le mani stringendola forte per le spalle. La buttò sopra un tavolaccio di metallo, tenendola seduta.

“Penso infatti che con te potrei fare un’eccezione… Ho pensato a qualcosa di meglio.”

Senza indugiare oltre le infilò una mano nei pantaloni.

Elly emise un grido e provò a darle una testata, ma venne afferrata per i capelli. Poi le labbra dell’altra si chiusero sulle sue, dandole un bacio aggressivo come il primo che avevano scambiato.

La mano proseguiva il suo lavoro, insinuandosi nella sua intimità. Era un tocco esperto e stranamente familiare. Purtroppo anche piacevole. Quando provò a stringere le gambe, fu fermata dal suo corpo che stava in mezzo. La catena non la bloccava molto, ma le rendeva difficile anche scalciare.

Si separò dal suo bacio ansimando.

“In fondo, tu sai sicuramente dove sono fuggiti gli altri… quindi tenerti in vita mi conviene.” Proseguì. Parlava con lo stesso tono di scherno che utilizzava spesso anche in parlamento, ma più basso e sensuale “Ti farò dire tutto, con le buone…” un dito la penetrò leggermente facendola gemere “…O con le cattive…” l’altra mano le tirò i capelli.

“Non dirò niente!” Elly si sorprese di essere riuscita finalmente a parlare. Cercava di ricostruire con la mente cosa era successo per arrivare lì, a quel punto storico. Aveva una visione al tempo stesso chiara e confusa dell’assalto seguito all’incontro con Renzi in mezzo alla strada. Si ricordava vagamente di esplosioni, di un spray urticante in gola, della risata sarcastica di Matteo in sottofondo… tutte cose che le era capitato già di vivere anche prima di quella follia in cui si ritrovava.

In più a distrarla e a rendere tutto distorto c’era la mano che la stava tormentando.

Un calore piacevole si stava estendendo su tutto il corpo. Perfino le corde non facevano più male.

“Ti piace questo, vero Elly?” sussurrò Giorgia a un orecchio.

“N-No” balbettò gemendo.

“Non mi pare proprio, menti… Tieni conto che può andare anche peggio… potrei lasciarti agli altri…”

“Ammazzami piuttosto!”

“Non lo decidi tu… tu non decidi più nulla Elly… Decido io…” si infilò un altro dito “Comando io…”

Elly inarcò la schiena. Vedeva l’intera scena in terza persona in quel momento. Erano entrambe ancora vestite, ma Giorgia aveva portato una delle sue gambe in mezzo alle sue e si stava strusciando. Le diede un altro bacio questa volta mordendole il labbro inferiore prima di respirare.

“Ti spezzerò… dentro e fuori… Ti porterò via tutto… Ti renderò i giorni peggiori…” lo disse come fosse una strana cantilena.

Elly gemette di nuovo sentendo una forte scossa di piacere. Era grottesco e spaventoso, ma anche estremamente sensuale. Come una fantasia oscura che prendeva una forma chiara.

L’altra mano della donna si fece largo nella sua camicia e le afferrò uno dei seni. Lo massaggiò piano senza stringere. Anche lì il tocco sembrò stranamente familiare.

Elly non riuscì a ribellarsi. Avrebbe potuto darle una testata, lo vedeva benissimo, ma non lo fece.

Si ritrovò a fissarla dritta negli occhi, che avevano perso l’aggressività iniziale ed erano calmi, perfino dolci. Inquietanti.

“Dimmi Elly, ti piace questo, vero?”

“S-Sì…” le rispose. E non capì perché. Si sentiva di nuovo la bocca impastata.

“Lo sapevo, l’ho sempre saputo…”

Elly provò di nuovo a parlare. Ma non le uscì nulla. Le dita continuavano a stuzzicarla, la mano a massaggiarla. Era piacevole e terribile da ammettere.

Le labbra di Giorgia si spostarono verso il suo orecchio. Elly sentì anche una terza mano poggiarsi sulla sua spalla e scuoterle il corpo.

“Elly…” la voce di Giorgia era diversa più maschile “Elly svegliati… ti ho portato il caffè.”

 

19 ottobre 2023 – Collegio Nazareno, sede del PD

Ore 20:30

 

Elly Schlein si svegliò di soprassalto e per poco non colpì in pieno viso Roberto Speranza con una testata.

L’uomo riuscì a spostarsi in tempo e a non rovesciare la bevanda che teneva in mano.

“WOAH! Elly che succede!?”

Ansimando, Elly si guardò rapidamente intorno: niente odore di bruciato, niente mura scrostate, niente tavolo di metallo. Si tastò il corpo e sentì che i vestiti erano in ordine. Si sentiva però accaldata.

“Oh merda….” Mormorò arrossendo.

“Hai avuto un incubo?” domandò Roberto poggiando il bicchiere sulla scrivania.

Elly si prese il volto tra le mani e premette forte le dita sugli occhi: le immagini del sogno, così vivide, erano come incollate sulla retina. Soprattutto Giorgia in piedi su di lei, con la divisa nera.

“Incubo non rende l’idea…” mormorò Elly.

“Oh beh, mi dispiace, non lo sapevo. In realtà quando sono entrato sembrava che stessi sorridendo…”

Elly girò la testa di scatto e fissò l’altro, passando dal rosso al pallore: “S-Sul serio?”

“Beh non saprei… forse stavi digrignando i denti… comunque mi dispiace che non ti ho svegliata subito.”

“Ho detto qualcosa?”

“Nel sonno dici? No… forse una specie di gemito ma nulla di più.”

Stropicciandosi di nuovo gli occhi, Elly afferrò il bicchiere e mandò giù il caffè tutto d’un fiato, bruciandosi la gola: “Grazie del caffè…” tossì.

“Figurati. Va meglio ora?”

“Sì.”

Roberto Speranza era confluito con i suoi di “Articolo 1” nel PD dopo l’elezione di Elly Schlein, nel 2023. Sebbene avesse optato per mantenere un basso profilo come deputato, sia per le minacce di morte subite dai no-vax, sia per l’iscrizione nel registro degli indagati per i fatti di Bergamo a inizio pandemia (anche se l’inchiesta era stata chiusa praticamente subito), Speranza aveva finito con il lavorare vicino a Elly molto più di altri; la cosa non era molto sbandierata, ma in quanto ex ministro, Elly cercava di capire da lui come muoversi al meglio con tutte le altre parti in gioco, in particolare con i 5 Stelle.

Avevano parlato, quel giorno, anche dell’incontro avvenuto con Draghi sulla soglia dell’ufficio di Renzi, ma Speranza non aveva saputo dirle molto dell’uomo oltre il livello professionale. Elly aveva avvertito da parte sua una certa avversione a parlarne.

Poi Roberto aveva chiesto una pausa per chiamare a casa ed Elly gli aveva chiesto se a ritorno poteva portarle del caffè; rimasta sola, si era addormentata finendo per sognare quell’orribile incubo.

“Tutto bene a casa?” gli domandò sperando di smettere di pensare a quella visione.

“Oh sì! Erano felici perché Rosa fa le cotolette con le patatine fritte.”

Si riferiva ovviamente a Rosangela, sua moglie. Sentendolo parlare di lei con tanto affetto, Elly sorrise.

“Tu invece vedo che ti sei data alle letture fantasy!” Roberto indicò la busta che stava sul tavolo.

Era una busta di carta della Feltrinelli, quella della Galleria Sordi davanti al parlamento, da cui sporgeva una copia del primo volume di Hunger Games.

Elly si ricordò finalmente cosa stava effettivamente facendo prima di addormentarsi: stava preparando il biglietto per Paola.

“In realtà non è per me. L’ho preso per Paola. Il weekend scorso ci siamo viste l’intera saga. A me non ha convinto molto, ma a lei è piaciuta e ha detto che era curiosa di leggere i libri. Di solito li prende in biblioteca ma visto che ancora non l’ha fatto…” aprendo la prima pagina vide che il biglietto era effettivamente dentro al libro. Poi controllò il telefono, per vedere l’ora e notò una notifica risalente a mezz’ora prima di un quotidiano dedicata a una dichiarazione di Giorgia Meloni.

Ricostruì così tutti i pezzi che avevano composto il suo sogno: prima di addormentarsi aveva probabilmente letto quello stesso titolo, costringendosi a pensare a Meloni che ormai le appariva inevitabilmente sempre come in quell’incontro del 26 settembre; con Roberto Speranza aveva parlato di Draghi e di Renzi e di quest’ultimo avevano commentato molto alcune delle sue operazioni durante il suo periodo di governo; poi, siccome stava scrivendo un biglietto per la sua compagna aveva pensato anche a lei, ecco perché il tocco era stato tanto familiare; infine, aveva ripensato al film e alle sue componenti distopiche; la mente poi aveva arrangiato tutto in modo... In modo molto sconveniente.

No, anche se c’era una spiegazione perfettamente razionale, il suo inconscio aveva elaborato quelle informazioni in un modo che non le piaceva per niente.

“È un bel pensiero che hai avuto!” esclamò Roberto Speranza mentre riordinava alcuni documenti “Anche i miei figli hanno quella serie ma ora si sono spostati su altre letture. Crescendo le cose cambiano per tutti.”

“Senti, perché non vai a casa? Hai anche tu il diritto di goderti cotolette e patatine. Qui posso finire anche da sola.”

“Sei sicura?”

“Certamente.”

“Ho capito. Comunque se vuoi, martedì prossimo posso provare a intercettare Conte e organizzare un incontro.”

“Sì, non sarebbe male. Visto che Draghi e Renzi sono di nuovo attivi, sarebbe la cosa migliore essere pronti a ogni evenienza.”

Di nuovo Speranza fece una strana espressione: “Sicuramente con lui è sempre bene guardarsi le spalle… ma Draghi ha sicuramente altri tipi di interessi. Io c’ero quando ha detto che non si sarebbe occupato più di politica e gli credo sulla parola…”

Elly non potè fare a meno di notare che di nuovo c’era un evidente disagio da parte di Speranza nel parlarne. Stava per chiedergli una spiegazione esplicita, quando lui si caricò in spalla lo zainetto che aveva portato con sé: “Beh allora ti saluto Elly! Ci si rivede domani! Sarà una bella sorpresa vedermi tornare a casa così presto!” lo disse più con fretta che con gioia e non attese la sua risposta quando passò oltre la porta.

“A domani… Roberto….”

Elly ascoltò i suoi passi sparire nel corridoio. Sospirò e tornò sui fogli che aveva con sé: un recente sondaggio aveva rivelato che non era poi così popolare nel mondo LGBT+, ma molti avevano apprezzato la sua partecipazione al pride a fianco di Alessandro Zan.

In generale, la critica mossa al PD era sempre la stessa: troppo lontano dalla sinistra radicale.

Se voleva il loro sostegno doveva ottenere prima quello dei partiti più vicini alle realtà dei centri sociali… Che praticamente non esistevano.

Si massaggiò le tempie.

“Una cosa alla volta… la fiducia non si costruisce in un giorno. Ce la posso fare… Ce la posso fare…”

 

“Non sei capace Elly. Ne sei consapevole, vero?”

 

“Tu mi piaci, Elly. Solo io posso sapere quello che hai passato per arrivare dove sei ora. Perché ci sono passata anch’io. E gli uomini della sinistra sono anche peggio dei miei.”

 

“…a volte perché le cose vadano per il verso giusto è meglio mettere da parte certe rivalità. Ne parlavo giusto con il senatore Renzi poco fa.”

 

“Oh che cazzo! Non posso lavorare così!” battè i pugni sul tavolo e si vergognò subito di quel gesto così infantile. Però sì, erano capitate così tante cose nell’arco di poco tempo che in qualche modo sembravano tra loro collegate. Anche perché il giorno in cui Giorgia l’aveva baciata, anche lei era andata lì a vedere Renzi.

Ci stava ancora ragionando quando qualcuno bussò alla porta. Erano colpi rapidi e eccitati

“Chi è?”

“Elly sono io…” era la voce di Alessandro Zan “Puoi venire un attimo di sotto?”

“Perché?”

“Tu vieni, presto anche!” E senza aggiungere altro corse via.

Elly sospirò. Capì che comunque quella giornata era ormai finita, che non c’era altro su cui poter lavorare.

Uscì dall’ufficio e scese le scale.

Tutti gli addetti ai lavori che erano rimasti al Nazareno fino a tardi come lei, incluso Alessandro Zan, erano riuniti davanti alla televisione che si trovava in una delle stanze al piano terra.

Stava sintonizzata su canale 5, che trasmetteva Striscia la Notizia.

Una voce maschile che le sembrò familiare, diceva: “Lo sai che io e *suono di censura* abbiamo una tresca? Lo sa tutta mediaset, ora lo sai anche tu.”

Un giovane volontario che bazzicava da tempo negli uffici e che tutti chiamavano col diminutivo di Tonino si lasciò sfuggire una risatina, che sembrava più di imbarazzo che di reale ilarità.

All’improvviso Elly riconobbe la faccia in sovraimpressione a sinistra sullo schermo: era quella di Andrea Giambruno.

“Però stiamo cercando una terza partecipante perché noi facciamo le threesome.”

E anche la voce era la sua.

Era un fuorionda registrato.

“Anche le foursome con *suono di censura*”

“Mi chiedo se abbia detto il nome di Giorgia…” mormorò una segretaria che stava seduta con la testa fra le mani e il volto rosso dalla vergogna.

Il deputato Emiliano Fossi le intimò di stare zitta. Era teso al punto che le guance disegnavano i muscoli sulla mascella.

Alessandro Zan si avvicinò a Elly e le sussurrò: “Una telefonata anonima è arrivata a Tonino: lo avvisava che se volevamo divertirci dovevamo sintonizzarci su Canale 5.”

“Una telefonata anonima?”

“Numero sconosciuto, ma è sicuro che si trattasse di un giornalista suo amico un po' paranoico. Anche se ha detto che non ha riconosciuto la voce.”

Ascoltando le parole di Giambruno, Schlein ripensò a quando proprio Tonino le aveva spiegato il significato di “cringe” come concetto delle nuove generazioni. Ora sì che lo capiva.

Il fuorionda non durava tanto, ma quel poco che venne fuori lo si capiva bene; e l’aveva visto tutta Italia. Il servizio si concludeva con un fotomontaggio di Andrea Giambruno nei panni di un lupo mannaro e poi i conduttori Frisca e Lipari scherzavano sulla possibilità di fare loro stessi una threesome.

Qualcuno spense la TV e nella stanza scese il silenzio. C’era chi era teso, chi sorrideva trattenendo le risate, chi invece era rosso come un pomodoro.

“Credi che provocherà qualche squilibrio nel governo?” domandò Elly a Zan.

“No, probabilmente no. Però per lei è un bel colpo.”

“Comunque non mi sono divertita molto… è stato abbastanza imbarazzante.”

“Sì, a me ha fatto schifo.”

Per un attimo Elly si figurò i social il giorno dopo: i meme, le battute, i reels e i video con quell’audio montato in tutte le salse possibili.

“Io me ne torno a casa.” Dichiarò ad alta voce “Sentitevi liberi di dire quello che volete sul fatto. Io mi rifiuto di commentarlo.”

Risalì all’ufficio a prendere le sue cose. Stava per mettere via il cellulare… poi aprì telegram.

Contatti: Giorgia.

“Voglio farti sapere che non commenterò la vicenda, perché mi ha fatto molto schifo. Qualunque cosa deciderai di fare, spero che vada tutto bene. Mi dispiace. Non so dirti altro. Mi dispiace tanto.”

Non era un granchè come messaggio, ma non le venivano in mente parole migliori. Lo inviò. Poi aggiunse: “Se ti serve uno sfogo da donna a donna sono a disposizione.”

Inviò. Se ne pentì. Pensò di cancellarlo, ma poi non lo fece.

“Figuriamoci se poi conta effettivamente su di me.” Si disse buttando il telefono nello zaino.

Tornò di sotto dove chi era rimasto si era radunato all’uscita per salutarla. Tutto si svolse con una strana solennità, come se tutti avessero capito che qualcosa era inevitabilmente cambiato.

Elly rispose a ogni saluto. Quando uscì in strada sentì il bisogno di tirarsi su il cappuccio per nascondersi.

Quell’incubo così strano era ora sostituito da una realtà che non le piaceva per niente… anche se non era lei la vittima.

Notes:

Per vedere il fuorionda trasmesso da Striscia la Notizia: https://www.striscialanotizia.mediaset.it/video/andrea-giambruno-fuorionda_473154

Chapter 10: 20 ottobre 2023, Ore 8:35, ore 17, ore 18, ore 21

Chapter Text

20 ottobre 2023

 

Twitter - profilo di Giorgia Meloni, Ore 8:35

 

“La mia relazione con Andrea Giambruno, durata quasi dieci anni, finisce qui. Lo ringrazio per gli anni splendidi che abbiamo trascorso insieme, per le difficoltà che abbiamo attraversato, e per avermi regalato la cosa più importante della mia vita, che è nostra figlia Ginevra.

Le nostre strade si sono divise da tempo, ed è arrivato il momento di prenderne atto.

Difenderò quello che siamo stati, difenderò la nostra amicizia, e difenderò, a ogni costo, una bambina di sette anni che ama la madre e ama il padre, come io non ho potuto amare il mio.

Non ho altro da dire su questo.

Ps. tutti quelli che hanno sperato di indebolirmi colpendomi in casa sappiano che per quanto la goccia possa sperare di scavare la pietra, la pietra rimane pietra e la goccia è solo acqua.”

 

Ufficio di Giorgia Meloni, Ore 17

 

Seduta alla sua scrivania, Giorgia convocò Donzelli.

Fatto quello tornò a leggere il messaggio. Non fu facile ritrovarlo perché da quando aveva annunciato la sua separazione da Giambruno, il telefono era esploso tra chiamate (a cui non rispondeva) e notifiche (che non guardava). Per fortuna il motore di ricerca di Telegram era rapido.

 

“Voglio farti sapere che non commenterò la vicenda, perché mi ha fatto molto schifo. Qualunque cosa deciderai di fare, spero che vada tutto bene. Mi dispiace. Non so dirti altro. Mi dispiace tanto.”

 

Mittente: Elly Schlein.

Sospirò e si asciugò la lacrima che le era appena scesa.

Sentì bussare alla porta.

“Chi è?”

“Sono io presidente!” La voce del suo uomo più fedele ormai la conosceva bene.

“Entra.”

Giovanni Donzelli fece ingresso nel suo ufficio. Aveva in mano un bicchiere di tè.

“Presidente, come sta? Le ho portato questo.”

Era uno dei pochi dentro il suo partito a darle del lei, anche se Giorgia non glielo aveva mai imposto.

“Potrei stare meglio Giovanni… Grazie per il tè.”

“Stiamo preparando il contrattacco, soprattutto contro Schlein! Ho già inviato un paio di comunicati per Il Giornale e Libero! Non si è azzardata a dire neanche una parola per lei! Femminismo un paio di palle! Quella lella vuole aiutare solo le sorelle della sua cerchia!”

Giorgia Meloni lo fulminò con lo sguardo. Prese il telefono e gli mostrò il messaggio.

Giovanni Donzelli lesse.

“Chi lo ha mandato? Ha registrato il numero con un nome strano.”

“Me lo ha mandato Elly Schlein.”

“…Come?”

“Sì. Proprio lei.”

“Sta scherzando, vero presidente?”

“No. Ci siamo scambiate il numero tempo fa. E sì, lei sta anche su telegram.”

“Ma…”

“Non deve saperlo nessuno, ma che non escano altri articoli contro di lei riguardanti questa vicenda.”

Donzelli era sorpreso ma annuì e prese il suo telefono: “Comunico subito.”

“Altra cosa. Voglio che di lei non si parli più nelle nostre chat. Né per nome né per soprannome. Bandita, salvo occasioni eccezionali. Delle chat dove non sono dentro non me ne frega niente, potete immaginare e scrivere quello che vi pare. Ma in quelle dove ci sono anch’io, se non apro io il discorso, allora nessuno parla di lei. Chiaro?”

Giovanni Donzelli, per la prima volta, fissò Giorgia Meloni con una preoccupazione sincera e neanche un accenno di soggezione.

“Presidente… Non so cosa avete in mente… Ma non mi piace…”

Giorgia lo fulminò una seconda volta. Poi vedendolo abbassare lo sguardo umilmente, si calmò e gli prese la mano e la strinse tra le sue: “Sono una stratega. Quello che faccio non lo faccio a caso.”

Giovanni Donzelli annuì e iniziò ad arrossire.

“Farai questo lavoro di comunicazione per me?”

“Certamente. Vado subito.”

“Sii rapido.”

Era diventato tutto rosso e quasi inciampò uscendo dalla stanza.

Rimasta di nuovo sola, Giorgia prese il telefono e finalmente rispose a Schlein: “Raggiungimi nel mio ufficio tra un’ora.”

Premette invio proprio mentre la porta si apriva.

“Un uccellino mi ha detto che ora il nido è vuoto…” esclamò Matteo Salvini entrando prepotentemente nella stanza.

 

Ore 18

 

“Non immaginavo mi avrebbe presa sul serio…” pensò tra sé Elly percorrendo il corridoio.

L’ultima volta che era successo si era ritrovata davanti lei nuda e da allora non era più ripassata di lì.

Camminava lentamente, tesa.

Mentre raggiungeva l’ufficio, qualcuno uscì proprio da quella porta: Matteo Salvini.

L’uomo sembrava furioso e parve non vederla mentre si incamminava nella direzione opposta. Elly si mise subito da parte per cedergli il passo, sperando che la ignorasse. O che, come capitava in altre sedi, le lanciasse giusto un’occhiata carica di disgusto.

Invece si fermò: “Oh… Sei tu.” Il ‘tu’ fu carico di disprezzo. “La signora non vuole essere disturbata al momento. Se hai voglia di dirle qualcosa meglio che passi domani.”

Iniziava a diventare fastidioso farsi beccare ogni volta che andava nel suo ufficio: “Ne terrò conto.” Rispose.

Sperava lui se ne andasse, ma non fu così: rimase fermo a osservarla.

“Bèh… Arrivederci.” Provò a dire Elly. Fece per proseguire, ma lui le afferrò il braccio.

“Non l’ho detto per modo di dire. Non devi andare.” Le sue dita tozze la stringevano con una certa forza.

“Ti ha messo come guardiano della soglia?”

“No.”

“Allora lasciami andare!”

“Non ti aprirà la porta. Non lo ha fatto con me.”

“Lasciami andare!” lei alzò molto la voce.

“Oh! Altrimenti che mi fai?” il tono della domanda era evidentemente schernente, ma per tutta risposta Schlein gli diede un potente schiaffo in faccia. Salvini mollò la presa portandosi le mani al volto. La guancia cominciò a pulsare forte.

“Ecco cosa.” Replicò lei pronta a proseguire. Ma lui la raggiunse e le prese entrambe le braccia, per poi sbatterla contro il muro.

Stava davanti a lei, bloccandola con il suo corpo e tenendola per i polsi.

Elly, stordita per l’improvvisa prepotenza non riuscì a fare qualcosa per liberarsi.

“Non osare toccarmi mai più Schlein…” le disse lui con un tono di voce basso e intimidatorio “Non mi farei toccare da nessuno, men che mai da mani come le tue…. So dove sono state…”

“Lasciami andare immediatamente!” esclamò lei. Provò a dimenarsi ma lui strinse più forte.

“Sai…” proseguì lui “…sono riuscito ad avere una foto della tua ragazza… Hai buon gusto non c’è che dire.”

Elly si gelò, immobilizzandosi. Sentì il cuore aumentare i battiti e la rabbia crescere.

“Toglimi una curiosità… Quando voi due state insieme chi di voi è l’uo-AAAAH!”

L’urlo di Salvini la investì e la fece sobbalzare, ormai libera dalla sua presa. L’uomo l’aveva lasciata andare ed era per terra con le mani sopra al pube intento a contorcersi.

Alle sue spalle, Giorgia Meloni teneva in mano un lungo bastone da passeggio con una testa di Leone a una della estremità.

Per terra, Salvini si era rannicchiato su se stesso in posizione fetale e respirava a fatica.

Elly, guardò l’uomo, poi guardò il presidente… e si ricordò di quando sul balcone aveva detto “I miei li tengo per le palle”.

Non ci voleva molto per capire cosa era successo.

“Sai Matteo… quella storia della castrazione per le violenze sessuali… non ci metto nulla a farla passare…” gli disse Giorgia con voce tombale.

L’uomo mormorò un insulto soffocato da un principio di pianto.

Elly si staccò dal muro e quasi si sentì male a immaginare il dolore che l’uomo stava provando. Nonostante tutto, gli sembrava comunque impietoso.

Fece qualche passo in avanti, ma venne afferrata dall’altra donna prima che potesse dire qualcosa.

Giorgia la trascinò dentro l’ufficio e si chiuse la porta alle spalle dopo aver gettato in un angolo il bastone.

Ancora scossa Elly la osservò mentre chiudeva la porta a chiave e non fu felice della cosa. Ma la chiave rimase nella toppa. Almeno non l’aveva nascosta.

“Stronzo schifoso!” esclamò Giorgia stringendo i pugni e poi colpendo la porta.

Poi si girò verso Elly. I loro sguardi si incrociarono e Elly si rese conto i suoi occhi erano completamente rossi: aveva pianto.

Abbassò lo sguardo.

Giorgia le sollevò il viso e lo girò in diverse direzioni: la stava controllando.

“Ti ha fatto male? Ti ha rotto qualcosa?” le chiese con voce sinceramente preoccupata.

“No, sto bene, sto bene….” Disse Elly prendendole una mano. Si ritrovò a guardarla e ripensò a quanto aveva appena visto; non aveva immaginato di poter passare in rapida successione dal disprezzo alla pena, soprattutto per un uomo come Salvini, né di vedere sincera preoccupazione negli occhi dell’altra. Sentimento che sparì presto, lasciando il posto all’aggressività.

“Gli farò una ramanzina più tardi…” Giorgia andò alla scrivania, dove erano già preparati due bicchieri. Versò quello che Elly riconobbe come un liquore molto costoso e le porse un bicchiere.

“Non bevo a stomaco vuotò…” provò a dire Elly, mentre Giorgia mandava giù la sua dose.

“Dopo una cosa così… è la medicina migliore…” mormorò il presidente pulendosi la bocca col dorso della mano.

Elly esitò ancora poi mandò giù tutto in un sorso. Il liquido le infuocò la gola e la rinvigorì.

Strizzò gli occhi e cercò di non tossire.

“Grazie… Per avermi aiutato…” provò a dire.

“Un disgraziato! Uno stronzo! Non lo sopporto a quello…” esclamò Giorgia prendendosi un altro shot.

“Volevi vedermi?”

Giorgia mandò giù il liquore e le indicò con un gesto la sedia. Mentre Elly si accomodava lei andò a prendere posto al di là della scrivania.

Una volta accomodata, lanciò contro il muro il suo bicchierino che andò in mille pezzi. Ne prese un altro direttamente da uno dei cassetti.

“Sei sicura di stare bene?” le chiese ancora Giorgia.

“Veramente… forse dovrei esserlo io a chiedere a te…”

“Non ho subito un tentativo di violenza… Semmai me ne sono sbarazzata…”

Elly trasalì. L’evento le aveva fatto dimenticare quello che era accaduto e il motivo per cui era lì.

“Voglio solo che tu sappia, Schlein” disse interrompendola ancora prima che potesse dirle qualcosa “che quando ho provato a sedurti non l’ho fatto per compiacere lui.”

Schlein si irrigidì sulla sedia e rimase in silenzio.

“Non volevo coinvolgerti in una threesome.”

Lentamente, Elly annuì.

“Non sono quel tipo di persona, non mi piacciono quei giochi. O uno alla volta o niente.”

Elly non disse nulla. All’improvviso sentì il bisogno di bere di nuovo e così fece. Non si era aspettata un incontro che iniziasse in quel modo, che arrivasse subito sul personale.

L’alcol bruciò molto meno e sentì che iniziava a darle più coraggio.

“Hai voluto vedermi… perché ci tenevi a dirmi questo?” domandò.

“Sì. Anche.”

Un silenzio scese tra le due. I loro sguardi si incrociarono di nuovo.

“Ancora un sorso?”

“Forse è meglio.”

Bevvero entrambe. Ma Elly sentì che non avrebbe potuto spingersi oltre senza rischiare di ubriacarsi.

“Ho chiesto a… A Donzelli di fermare qualsiasi comunicato stampa contro di te. Purtroppo quelli che aveva lanciato per Il Giornale e Libero non ho potuto interromperli. E come potrai immaginare i miei si scateneranno personalmente online.” Proseguì Giorgia.

Elly abbassò lo sguardo: “In effetti su X sono stata già taggata…”

“Voglio farti sapere che apprezzo molto” Giorgia Meloni mandò giù un altro shot “che tu abbia deciso di non dire nulla pubblicamente, perché l’ho trovata una mossa molto leale. Anzi forse pure un po' immeritata. Immeritata per me dico. Io avrei sparato a zero.”

“Grazie per avermelo fatto sapere. Se io e Paola ci separeremo e la cosa sarà pubblica, almeno prenderò il giubbotto antiproiettile.”

Giorgia Meloni le sorrise.

Si alzò, prese bicchierino e bottiglia e si avviò a sedersi su un divanetto che stava a un lato del muro.

“Siedi con me, onorevole Schlein.”

Elly arrossì.

“Preferisco stare qui.” Mormorò.

“No. Tu ti alzi e ti vieni a sedere qui vicina a me.” La voce di Meloni si fece due tacche più cupa.

“Non puoi darmi ordini.”

“Lo sto facendo.”

“Non sono obbligata a obbedirti.”

“Ma lo farai.”

“Perché dovrei?”

“Perché sono il tuo presidente, perché ti ho tolto dalle mani di un lurido e perché in fondo sei venuta qui per un motivo…”

Elly sentì una scarica lungo il corpo. Le tornò in mente l’incubo avuto proprio la sera prima. Deglutì.

“Piuttosto, non mi aspettavo che tu guardassi Striscia la Notizia…”

“No non la guardo infatti.”

“Ah sì?” Giorgia si irrigidì “E allora come hai fatto a sapere prima degli altri!?”

Elly sospirò e, suo malgrado, si ritrovò ad andare a sedersi vicino a lei per spiegarle la situazione: la serata in segreteria, la telefonata anonima a uno dei suoi, la visione nel gelo e nell’imbarazzo generale.

“Ha fatto schifo a tutti.” Concluse.

Si era seduta in pizzo al cuscino e ben distante da lei.

Giorgia la fissava silenziosa. Fece per riempirsi un altro bicchiere ma Elly la bloccò, inevitabilmente avvicinandosi.

“Facciamo così. Io resto seduta vicina a te se smettiamo di bere, d’accordo?”

Giorgia annuì. La lasciò sistemare la bottiglia sulla scrivania e continuò a guardarla mentre tornava a sedersi vicina a lei.

Elly invece non aveva il coraggio di guardarla in faccia. Nella sua testa la vedeva ancora con la coda di cavallo e la divisa nera. Il sogno non si era ripetuto, per fortuna, ma da sveglia aveva trovato difficile non pensarci. Soprattutto dopo l’annuncio della separazione. Quando tutti, nei corridoi, avevano ampiamente commentato…

“Chi è stato ad avvisare i tuoi?” domandò Giorgia.

“Te l’ho detto, una telefonata anonima.”

“Secondo te lo è davvero?”

“Ha detto che forse ha capito chi è stato.”

“Ah, ecco…”

Tornò di nuovo il silenzio.

“Puoi guardarmi Elly, non mordo… non sempre comunque.”

Elly arrosì e girò appena la testa. Vide che l’altra aveva steso il collo sulla spalliera del divano e l’osservava di sottecchi.

“Per caso, oltre a Salvini, hai incontrato Donzelli nei paraggi del mio ufficio?” le chiese.

Elly scosse la testa.

“Meglio così. A Salvini so cosa dire. Con Donzelli sarebbe più complicato. Sai, lui sa che io ho il tuo numero privato…”

Fu il turno di Elly di irrigidirsi: “Come?”

“Ho dovuto dirglielo. Ho dovuto fargli leggere il tuo messaggio. Stava per lanciarti contro una shitstorm spaventosa. Non sa comunque che subito dopo ti ho convocata…”

Elly non commentò.

“Sai penso che lui abbia una cotta per me.” Disse dopo una pausa Giorgia Meloni.

“L’onorevole Donzelli?”

“Già… lo sospetto da tempo. Mi chiedo solo se, ora che il nido è vuoto, ci proverà.”

“Se lo farà, direi che non avrai più bisogno di me…” si lasciò sfuggire Elly. Se ne pentì subito. Era stata lei a iniziare il discorso, così.

Giorgia Meloni sorrise: “Vedo che l’impronta te l’ho lasciata bella forte, eh?”

Non volendo portare avanti il discorso, Elly non raccolse la provocazione.

Ma Giorgia proseguì: “Dimmi la verità, non ti eri aspettata che avrei risposto al tuo messaggio, vero?”

“In effetti no.”

“Ma l’ho fatto. Dal canto mio io non mi aspettavo certo che saresti venuta.”

La cosa sorprese Elly che si girò a guardarla. Notò allora che sotto il trucco aveva delle profonde occhiaie, talmente nere da essere abbastanza visibili da vicino. Aveva passato, probabilmente, tutta la notte sveglia. Forse aveva anche bevuto più di quei bicchierini insieme a lei.

“Se vuoi dirmi qualcosa di velenoso è la tua occasione Elly…” la stuzzicò Meloni continuando a sorridere.

Schlein distolse di nuovo lo sguardo: “Non ho nulla da dirti in realtà. Più che mi dispiace non mi viene in mente molto altro. Tranne forse che dovresti smetterla di parlare di famiglia tradizionale, ma questo mi sembra te lo avevo già detto.”

Sentì una mano di Giorgia che le sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio; si era avvicinata.

“Non ce la fai ad essere cattiva eh? Peccato. È una cosa che ti aiuterebbe molto… non basta resistere alle provocazioni. Bisogna saperle fare…”

Elly Schlein si tese e le scoccò un’occhiata dura: “Non provocarmi…”

“Non ti sto provocando, ti sto mettendo alla prova. Hai l’occasione d’oro di farmi del male senza essere vista… resterà tra noi…”

“Che gusto ci sarebbe a colpire qualcuno che si è già spezzato una gamba da solo mostrando la sua ipocrisia a tutto il paese?”

“Puoi fare di meglio.”

“L’acqua resterà solo acqua, ma se scava a sufficienza la roccia la buca. E una roccia bucata è più debole di quella intera.”

Un lampo passò negli occhi di Giorgia, che però subito dopo tornò a sorridere: “Ecco, questo già è un progresso…”

“L’hai davvero pensata tu quella metafora ridicola?”

Il sorriso si spense: “Io mi prendo la responsabilità di ogni singolo tweet che faccio. Figuriamoci se lascio ad altri il controllo del mio profilo!”

“Eh, la paranoia è un brutto disturbo mentale.”

“Non prenderci troppo gusto Schlein, ricordati che non sono io qui che ha tre cittadinanze e può scappare via quando vuole!”

“No, in effetti tu sei quella ostaggio di Salvini, dovresti farmi pena da questo punto di vista, ma non me la fai e sai perché?!”

“Dimmelo!”

“Perché i fascisti di merda meritano persone di merda al loro fianco!”

Sedute con i busti che si fronteggiavano, entrambe tese e dritte, Elly Schlein con le mani che stringevano il cuscino sotto di lei, mentre Giorgia teneva le braccia conserte, le due donne si fissarono prendendo respiri profondi.

“Zecca.” riprese all’improvviso Meloni.

“Fascista.”

“Me lo hai già detto…”

“Stronza.”

“Meglio.”

“Zecca comunque è un insulto talmente vecchio che non fa più effetto, ma scommetto che sulla rubrica mi hai registrata così, perché hai poca fantasia!”

“No, in rubrica il nome proprio è il tuo, ma su telegram per ovvi motivi l’ho cambiato. Sai come ti ho chiamata?”

“Come, sentiamo!”

“Con il nome Bolg, sai chi è Bolg?”

“No, chi cazzo è Bolg?!”

“Un orco della terra di mezzo.”

“Ah! E sai invece io che parola ho usato?”

“Troia?”

“No, bromo.”

“Chi cazzo è Bromo?”

“Nessuno ma è ovvio che non lo sai perché sei ignorante: è un elemento chimico puzzolente e tossico…”

Entrambe avevano il fiatone, ma l’ultima frase di Elly tolse per un attimo il respiro a Giorgia, che prima spalancò gli occhi per la sorpresa e poi senza preavviso scoppiò a ridere.

Era una risata sincera, liberatoria, forse non gioiosa, ma si sentiva che ne aveva bisogno.

“Ecco! Questa sì che è una bella provocazione! Io sono Bromo per te!”

Vederla in quello stato sorprese molto Elly, che ritrovò il controllo e pensò: “Che cosa sto facendo? Che stupidaggine assurda…”

“Noi due ci odiamo proprio, vero Elly?” domandò Giorgia guardandola mentre riprendeva fiato dalla risata.

Elly le concesse un sorriso: “Spero che almeno ora ti senta un po' meglio.”

“Oh ne avevo bisogno…”

“Di essere insultata, o di ridere?”

“Tutti e due…”

Giorgia si era rizzata di nuovo a sedere e la fissava con un’espressione più calma. Elly ricambiava il suo sguardo sorpresa, il sorriso concesso poco prima di nuovo scomparso.

Il viso di Giorgia Meloni si avvicinò al suo, ma Elly lo bloccò subito posandogli le dita contro le labbra: “No. Non stasera e non in queste condizioni…”

“Allora ho speranze per un’altra volta?” sussurrò Giorgia.

Elly non ne fu sicura ma le parve di sentire la punta della lingua che le sfiorava l’indice. Arrossì e rimosse subito la mano.

“Meglio che vada ora. Grazie del liquore. Arrivederci presidente.” Disse tutto in una volta avviandosi a passo veloce verso la porta. Provò ad aprirla, perché si era dimenticata che era chiusa. Allora iniziò ad armeggiare con la chiave.

“Elly?”

Aveva appena fatto scoccare la seconda mandata quando sentì la voce di Giorgia, tornata bassa e autoritaria che la chiamava.

Si voltò e vide che era in piedi vicino alla scrivania. Non riuscì invece a interpretare il suo sguardo, che distolse poco dopo.

“Lasciamo perdere. Vai pure.”

Elly spalancò la porta e se la chiuse rapidamente alle spalle.

“Cogliona.” Mormorò Giorgia Meloni rimasta sola.

 

Ore 21

 

China su alcuni documenti, Giorgia Meloni stava leggendo per l’ennesima volta la stessa frase di un documento arrivato dall’ambasciata Israeliana.

Non riusciva proprio a concentrarsi, anche aveva deciso comunque che avrebbe passato quella notte in ufficio.

Ginny era con suo padre in quel momento, perché avevano deciso che il primo a doversi spiegare sarebbe stato lui. Poi avrebbe preso le sue cose e lasciato casa. Il giorno dopo sarebbe toccato a lei.

In realtà, siccome in cuor suo sapeva che quel rischio era sempre esistito, un discorso per sua figlia l’aveva anche preparato. Ma era terrorizzata dall’idea che qualcuno potesse farle vedere quei filmati del fuori onda.

Sentì bussare alla porta.

“Che cazzo… avevo detto che non volevo essere disturbata… AVANTI!”

“Buonasera, presidente Meloni.”

Sulla soglia comparve Mario Draghi.

Giorgia lo osservò sorpresa, poi però chinò di nuovo lo sguardo sui fogli.

“Ho molto da fare…”

“Certamente. Le chiedo solo un minuto per rispondere a una mia domanda.”

L’uomo si era avvicinato alla scrivania ed era rimasto in piedi come in attesa, fissandola con la solita maschera di ghiaccio. Giorgia Meloni si alzò dalla sedia.

Anche se indossava i tacchi, lui la superava comunque di qualche centrimetro.

“Che genere di domanda?”

“Ero solo curioso di sapere se la threesome c’è mai stata.”

Lo schiaffo arrivò rapido e forte.

Lui però non batté ciglio. Si tolse gli occhiali e tirò fuori la custodia dalla tasca: “Bel colpo” commentò con voce atona riponendoli all’interno “Me ne dia un altro.”

Giorgia lo colpì con altrettanta furia sull’altra guancia.

Quando stava per dargli un terzo colpo lui l’afferrò per il polso e l’attirò a sé costringendola sulla scrivania.

“Basta così, o finirai per lasciarmi troppi segni… Dobbiamo parlare.”

“Dopo…”

Giorgia scavalcò la scrivania e gli stampò un bacio aggressivo sulle labbra. Poi corse a chiudere a chiave la porta.

Chapter 11: 1 Ottobre 2022 Ore 17:30

Notes:

(See the end of the chapter for notes.)

Chapter Text

cover 2

 

“Il Gioco esiste da molto e lo so. Ma sono stata attenta a non entrarci a gamba tesa quando ancora non avevo il potere necessario per controllarlo. E anche nello scegliere la prima persona a cui legarmi ho seguito una strategia. Io non faccio mai le cose a caso.” G. M.

 

1 Ottobre 2022

Ore 17:30

 

Quattro colpi secchi alla porta riscossero Draghi da quel principio di appisolamento che l’aveva colpito poco prima.

“Sto proprio invecchiando…” pensò stropicciandosi gli occhi. Quel giorno gli bruciavano particolarmente e per questo aveva optato per gli occhiali al posto delle lenti a contatto.

Altri quattro colpi.

“Avevo pure chiesto di non essere disturbato… CHI É?”

Giorgia Meloni entrò nell’ufficio e si chiuse rapidamente la porta alle spalle.

Indossava un tailleur nero sopra la camicia bianca ed eleganti scarpe con i tacchi.

Mario Draghi si irrigidì sulla sedia: “Ho chiesto chi fosse, non ho detto che poteva entrare, onorevole Meloni.”

“Ci sono persone nei corridoi. Ho riconosciuto anche un giornalista. Non voglio che mi vedano.” Disse Meloni con tono deciso, restando con la schiena contro la porta, come a volerla bloccare.

Mario Draghi emise un suono a metà tra uno sbuffo e un sospiro: “Immagino allora che non ci sarà modo per mandarla via…”

Per tutta risposta, Giorgia Meloni gli lanciò un’occhiata storta e aggressiva.

Restando seduto e impassibile, Draghi la studiò: in quei lunghi mesi passati al governo, lei era stata l’unica a mantenere verso di lui una ferma opposizione, senza mai perdere occasione di ribadirlo in parlamento; si era così trovato costretto a osservarla e si rendeva conto che a livello di mimica era sempre stata molto espressiva. Quello che una sua conoscenza avrebbe definito “una faccia umana”, o come diceva il vecchio proverbio “un libro aperto”. Le era impossibile nascondere il fastidio anche in quel momento privato.

“Comunque sia, presto questo ufficio sarà mio. Ho vinto le elezioni.” Replicò decisa Giorgia Meloni facendo qualche passo in avanti.

“Me ne sono accorto. Le ho anche fatto le congratulazioni telefoniche.” La voce robotica di Mario Draghi non trasmetteva affatto l’ironia interna alla frase.

“Sì. E poi si è dato alla macchia. Di solito c’è un periodo di incontri e convocazioni con le nuove personalità elette.”

“Ho avuto da fare. E comunque non credo che lei sia davvero disponibile ad ascoltare un mio consiglio.”

“Potrei sorprenderla…” Quando pronunciò quelle parole, Giorgia aveva un tono leggermente più basso e sul volto era apparso una specie di sorriso, che tuttavia il presidente non ricambiò.

Arrendendosi al fatto che la donna sarebbe rimasta nel suo ufficio, le indicò finalmente la sedia davanti alla scrivania. Lei andò a sedersi.

“Dunque, cosa vuole chiedermi?”

“Sono diverse le cose che mi preme sapere. Voglio un passaggio di governo tranquillo e la sua benedizione.”

Draghi inarcò un sopracciglio: “Prego?”

“So già che a me non saranno concesse le cose che sono state concesse a lei. So benissimo di non essere stimata da chi lei rappresenta…”

“Io non rappresento nessuno, tranne me stesso.” La voce di Draghi quando la interruppe era leggermente più cupa che metallica.

Giorgia Meloni roteò gli occhi con fare esasperato: “Sappiamo benissimo che non è così.”

In quel momento, a Draghi tornò in mente il discorso avuto con Conte quasi un anno prima, quando era lui stesso a trovarsi al posto di Giorgia Meloni. Si stropicciò gli occhi e cacciò via l’immagine.

“Se proprio vuole un mio parere personale su come potrebbe essere accettata dall’Europa, che in questi anni ha riempito di critiche e da qualsiasi altra realtà finanziaria e politica attualmente importante, il solo consiglio che posso darle è di non fare pasticci con le leggi di bilancio, non sforare e dire il più possibile sì alle proposte. Se poi vuole un consiglio più pratico, posso dirle che in questi mesi di governo mi sono trovato molto bene a lavorare con Giancarlo Giorgetti; ha le sue idee, ma è un buon professionista, io consiglierei di tenerlo nel suo governo, perché lui sa come muoversi. Ammetto che mi ha anche sorpreso.” Disse l’uomo tornando composto.

“Ho intenzione di nominarlo Ministro dell’Economia.”

A quelle parole, gli occhi di Draghi si illuminarono appena e le guance si incresparono di un sorriso trattenuto.

“Ah molto bene! Credevo che avrebbe messo Matteo Salvini…”

“E lo credeva anche lui. Ma fosse per me, non lo terrei nemmeno come senatore.” Ammise calma Giorgia Meloni.

Ci fu una pausa e Draghi purtroppo non potè nascondere la sorpresa.

“È pericoloso collaborare con le persone con cui non si va d’accordo…” iniziò.

“Ma io non ho scelta” lo interruppe lei “e mi ritengo assolutamente in grado di tenere d’occhio i miei.”

“E Berlusconi?”

“Non mi fa paura. Ha un piede nella fossa. Lo sanno tutti ormai.”

Draghi si lasciò sfuggire una risatina: “Ho sentito girare questa voce da anni ormai. Non mi fiderei più di tanto…”

“Questa volta è vero. Le assicuro che non è l’interno a preoccuparmi, ma le forze esterne.”

“Ah… I poteri forti… quelli da me rappresentati.” Mormorò Draghi suonando più canzonatorio che robotico.

“Esattamente.” Fece Giorgia Meloni serissima.

“Sa, le confesso che sentirmi attribuire questa quantità di potere per me è una cosa veramente imbarazzante.”

“Non la eccita?”

L’introduzione della parola colpì Draghi, perché sembrava completamente fuori luogo in quel contesto.

“Una parte di me, in realtà, si sente… non eccitata, ma onorata. Sì, sentirsi attribuire tanta importanza inevitabilmente genera qualcosa, dentro di noi. Immagino che lo sappia anche lei… Peccato che siano cose che non appartengono alla realtà.”

Lei roteò di nuovo gli occhi con aria esasperata, ma senza insistere.

“Piuttosto mi tolga una curiosità, questa storia che lei vuole farsi chiamare ‘il presidente’ al maschile, è vera?” domandò allora l’ex banchiere.

“Assolutamente. Non vedo per quale motivo l’appellativo dovrebbe essere diverso per me che sono una donna.” Rispose con durezza l’onorevole Meloni.

“Una scelta politica interessante.”

“Non è solo una questione politica: nella nostra lingua le declinazioni al femminile non mi piacciono proprio.”

“Capisco…”

“No. Non lo può capire. Ma non ha molta importanza.”

Mario Draghi non si era aspettato tanta sfrontatezza e, si disse, aveva fatto male. Era evidente che anche se era lì per chiedere la sua benedizione, sarebbe rimasta ferma sulle sue idee.

“Comunque manca ancora un po' al passaggio della campanella. Abbiamo tutto il tempo per sentirci e discutere.”

“Non tanto. E comunque non sono qui esclusivamente per il lato politico. Ma anche per il lato Ludico.”

“Prego?”

“Il Gioco. O se preferisce, The Game.”

Draghi sobbalzò sulla sedia e inevitabilmente si lasciò andare a un’espressione di sorpresa.

“Lo so, non se ne dovrebbe parlare così apertamente.”

“Allora perché lo fa…” sibilò Draghi cercando di tornare composto.

“Perché arrivo senza avervi mai partecipato.”

Una pausa. Draghi la fissò colpito. Si stropicciò gli occhi prima di tornare a guardarla: “Lei… Lei non ha mai partecipato…?”

“So della sua esistenza. So come funziona. E prima che me lo chieda, sì: Berlusconi aveva fatto anche a me, come a molte altre donne del governo, una proposta esplicita per entrare, ma io mi sono sempre rifiutata. Forse anche per questo non gli sono mai andata troppo a genio. Sa mi aveva dato un soprannome: la piccola. Inteso in senso infantilistico, perché dire ‘la vergine’ sarebbe stato troppo per lui. Non mi è importato. Ho preferito osservare tutto dall’esterno. Alla fine, in un modo o nell’altro non è un segreto che si riesce a tenere così a lungo. Le voci girano. Anche su di lei.” Giorgia Meloni si era tolta le scarpe e aveva messo i piedi, coperti da calze di nylon, sulla scrivania accavallandoli “Mi hanno detto che lei è giocatore da molto tempo. Uomini, donne, non importa, basta che abbiano il potere. Girano tante voci, come che nell’ultimo periodo è soprattutto con Renzi che si incontra. E qualcosa a proposito di un fetish…”

Lentamente, Mario Draghi si sporse dalla sedia e con due dita, osservandoli con freddezza, spinse via i piedi di lei dal tavolo, ma quando tornò a sedersi accavallò le gambe e si schiarì la voce prima di parlare: “L’hanno mal informata, perché non è quel tipo di fetish. Detto ciò, non vedo perché è venuta a parlarne proprio a me.”

“Può introdurmi lei al Gioco… Sarebbe un modo per confermare che ho la sua benedizione.”

Un’altra pausa. Questa volta ancora più lunga della precedente.

“Il Gioco è una cosa riservata. A parte i pettegolezzi non si va a mettere i manifesti in giro a dire cosa si è fatto e con chi.” Replicò serio Draghi.

“Però i pettegolezzi girano. Le cose si sanno. E quando si sanno, l’approccio altrui cambia…”

“Non è così semplice. E comunque, io non sapevo mica che lei non era mai… insomma mi ha capito.”

“Non lo sapeva, no. Ma immagino che sappia tutto degli altri giocatori.”

“Non tutto. Il minimo sindacale. E di certo non lo vado a raccontare a lei.”

“Però mi conferma che il Gioco è nato proprio con lo scopo di appianare certe forme di aggressività.”

Draghi prese un profondo respiro. Parlarne in modo così esplicito lo rendeva evidentemente nervoso: “Questa è una delle tante teorie che si dicono. Una. Tenga conto che se e quando se ne parla, lo si fa sempre in un contesto orale proprio per non lasciare tracce.” in quel momento il suo cellulare squillò e l’ex banchiere al volo rifiutò la chiamata “E adesso con tutte le diavolerie che ci circondano mantenere questo livello di riservatezza è diventato molto difficile! Uno dei motivi per cui viene chiamato ‘Gioco’ è proprio in riferimento al concetto di ‘giocare con il fuoco’! É qualcosa di molto serio e al tempo stesso pericoloso!”

“Per questo sei così nervoso di sentirmi esplicita?”

“Non è solo… Un momento, mi sta dando del tu?”

“Rende tutto più semplice. Io, Salvini e Berlusconi abbiamo già deciso che tra noi ci daremo del tu.”

“Non è ancora al governo, lei!” Draghi si alzò in piedi, le mani chiuse in pugno “Finchè sarò io in questo ufficio, il linguaggio sarà quello di sempre!”

“Non puoi decidere anche per me.”

“Ah sì?!” la voce dell’uomo era così carica di nervosismo trattenuto da sembrare ancora più falsa “Allora lascia che ti dica una cosa.”

Felice di averlo portato sul suo terreno, Giorgia Meloni si alzò in piedi se poggiò le mani sulla scrivania e sporse il busto in avanti: “Dimmi pure.”

Draghi si chinò appena verso di lei: “Scommetto che vuoi inserire questa storia del tu perché i tuoi sono talmente illetterati da non essere in grado di coniugare un verbo in terza persona presente. Questo succede se si dirige il partito più ignorante del paese.” La frase fu pronunciata con tale serietà e solennità che, anche se si era aspettata un commento simile, Giorgia Meloni provò una rabbia profonda.

Senza pensarci, staccò la mano dalla scrivania e tirò uno schiaffo all’uomo, talmente forte che gli occhiali gli caddero. Se ne pentì subito e si morse un labbro dall’interno per nascondere la sua espressione. Sapeva che non era bene mostrarsi debole in quel momento.

L’ex banchiere si massaggiò la guancia. In silenzio raccolse gli occhiali e li ripose in un cassetto.

Poi tornò a fissarla. Con passo lento abbandonò la sua posizione e le si avvicinò. Siccome si era tolta le scarpe, i venti centimetri di differenza di altezza che li separavano si vedevano tutti. “Almeno sai difenderti…” le disse con voce cupa.

“Avevi dei dubbi?” lei si sforzò di non avere un tono troppo spaventato.

“Dammene un altro.”

Giorgia Meloni ricambiò il suo sguardo gelido con espressione sorpresa. Come se non avesse aspettato altro, gli mollò un secondo schiaffo sull’altra guancia. Forte quanto il primo, se non di più.

Mario Draghi si massaggiò anche quella, pur continuando a restare impassibile, ma quando parlò la sua voce era un sussurro: “Dunque, tu non hai mai giocato in vita tua e vuoi iniziare con me…”

Lei prese un profondo respiro senza distogliere lo sguardo: “Se è un modo per avere la tua benedizione e assicurarmi di non avere intromissioni esterne, sì.”

“Mi stai attribuendo un potere che non ho. Mi sembra però che preferisci prendermi a schiaffi…”

Lei gli prese la cravatta e attirandolo a sé gli diede un bacio. Colto di sorpresa, l’uomo non riuscì subito a ricambiare e quando provò, lei si era già separata.

“Mettiamolo in chiaro da subito: non è nulla di personale, ma solo una questione di lavoro.” Disse lei passandosi il dorso della mano sulle labbra.

“Ottimo. Mi piacciono le cose chiare.” Le prese il viso con entrambe le mani e si chinò su di lei.

Si scambiarono un altro bacio. Lui questa volta ricambiò ampiamente, esplorando la bocca di lei. Con piacere notò che prima di visitarlo si era lavata i denti. Aveva anche un buon profumo. Era venuta con uno scopo ben preciso e senza nemmeno sforzarsi di nasconderlo. Forse un po' ruffiano, ma in fondo era da tempo che non gli capitava qualcosa di tanto sincero ed esplicito.

Lei gli mise le mani sui fianchi e lo spinse in direzione della scrivania.

In pochi minuti lo stese e salì sopra di lui.

“Non sono una che si fa mettere sotto.” Disse Giorgia Meloni seria.

“Lo vedo.” Rispose lui mantenendo il suo aplomb.

“Le crea problemi?”

“No…” rispose Mario Draghi. Stava per aggiungere “perché non sei un uomo”, ma si trattane.

Lei si stava togliendo la giacca, e lui l’aiutò. Si accorse solo allora che non portava un reggiseno.

“C’è una regola del Gioco che è giusto che tu conosca: non può mai essere una cosa forzata; se una delle parti non vuole, non si inizia o ci si ferma.” Le spiegò.

“Vuoi smettere?”

“No, è per il futuro. E le cose comunque non sono mai rapide… Serve tempo…”

“Non ho tempo.” Lei iniziò a sbottonarsi la camicia.

Lui le afferrò il polso della mano destra: “Lascia che lo faccia io…”

La sua voce era più bassa e meno alterata, così come l’espressione, che aveva perso buona parte della sua freddezza.

Giorgia non apprezzò che l’avesse interrotta e divincolò il braccio per fargli mollare la presa. Ma quando lui la lasciò, acconsentì con un cenno del capo.

La sbottonò lentamente, senza toglierle gli occhi di dosso. Lei invece ad un certo punto distolse lo sguardo e arrossì.

Osservandola in quello stato, Mario Draghi fu sul punto di fare una battuta, ma rinunciò.

Le scoprì i seni ed involontariamente emise un gemito.

Lei con la coda dell’occhio vide che aveva gli occhi spalancati e illuminati e le sue mani erano rimaste immobili a mezz’aria. Ne prese una e la guidò verso il petto.

“Posso farti una domanda?” gli chiese, continuando però a guardare altrove.

Lui strinse le dita sul seno sinistro, mentre con l’altro braccio cercò di sollevarsi un po': “C-che vuoi sapere?”

La voce era molto cambiata di tono, quasi non sembrava lui.

“Volevo capire qual è il fetish a cui fanno riferimento i racconti…”

La sua mano era esperta, lo percepiva chiaramente. Si mentalmente preparata a qualcosa di molto peggio; invece le stava piacendo il massaggio che riceveva.

Gemette e sentì i capezzoli irrigidirsi. Abbassò il busto verso di lui.

“Volevo capire qual è il fetish a cui fanno riferimento i racconti…” mormorò.

“Ti dirò solo una cosa: non riguarda le donne. Quindi è una cosa che a te non interessa.”

“Quindi le voci sono vere: vai anche con gli uomini.”

“Necessità virtù. Non c’erano molte donne al potere una volta. E io sono dentro da molto più te.”

“Vorrei…”

L’altra mano di lui all’improvviso le coprì la bocca, ma senza prepotenza: “Basta così…”

Poi scese lungo il collo e raggiunse l’altro seno. Lei chiuse gli occhi, godendosi quella sensazione mentre con l’altra mano si sfilava i pantaloni…

Fu meno rapido di quanto aveva previsto, anche se era in piena erezione quando a cavalcioni sul suo corpo si lasciò possedere. Anche se era sopra, sentiva chiaramente che lui manteneva comunque una posizione di dominanza. Era lui a chiederle di rallentare o accelerare, tenendole i fianchi tutto il tempo e continuando anche dopo che lei ebbe raggiunto l’orgasmo per poi spingerla via poco prima di venire.

Dopo ciò, lei crollò ansimante sul suo corpo, che era rimasta per buona metà ancora vestito. Non si aspettava un abbraccio e non lo ricevette.

In compenso, dopo un po', lui cercò di spostarla.

“Mi stai schiacciando…” le disse con voce effettivamente soffocata.

Quasi cascò dalla scrivania per lasciargli spazio. Raccolse i suoi vestiti mentre lo ascoltava riprendere fiato e si andò a sedere sul divanetto posto vicino al muro.

Cercò nella tasca della giacca, trovando il pacchetto di sigarette e l’accendino. Se ne accese una.

“N-Non si può fumare al chiuso.” Mormorò lui. Teneva una delle braccia a coprirgli gli occhi e aveva rallentato il suo respiro.

“Quando sarò presidente, in questo ufficio si potrà fumare.”

“Non è presidente lei adesso…” la voce stava tornando rapidamente robotica.

Scocciata, Meloni roteò gli occhi al cielo. Non sapendo dove spegnere la sigaretta senza fare danni, aprì una delle finestre di poco più di uno spiffero e la gettò fuori.

Mario Draghi sobbalzò e per poco non fu lui a cadere dalla scrivania.

“Ma che fa!? È impazzita!?” le urlò contro.

Pur colta di sorpresa, Giorgia Meloni riuscì a non intimidirsi “Si calmi sono stata attenta.”

“Non si è mai attenti abbastanza con queste cose qui! Se qualcuno l’ha vista!?”

“Non mi ha vista nessuno.”

“Comunque non lo faccia mai più!”

Vedendo che lei non era minimamente intimorita dalla sua rabbia e vergognandosi di averla mostrata riprese rapidamente il controllo. Cercò dei fazzoletti e si diede una ripulita.

“Vuole una sigaretta del dopo?” domandò lei a quel punto porgendogli il pacchetto. Lui le stava dando le spalle e si stava rimettendo i pantaloni.

“Non fumo e per quanto mi riguarda le consiglio di smettere. Fa male.”

“Ho provato tante volte, è troppo difficile.”

“Come fa a sopportare qualcosa di così soffocante in bocca mentre riprende fiato?”

“Oh la sigaretta del dopo è una cosa speciale. E a non tutti piace.” Mentre parlava, Giorgia Meloni esplorava con gli occhi l’ufficio, domandandosi quante e quali cose avrebbe potuto modificare e personalizzare. Fu a quel punto che notò un oggetto anomalo: appoggiato in un angolo della stanza c’era un elegante bastone da passeggio nero con una testa di leone su una delle estremità.

Si alzò, ancora mezza nuda e lo andò a prendere in mano.

Draghi la osservò in silenzio. Poi le chiese: “Le piace?”

Non aveva nulla di speciale, eppure sì, le piaceva: “È un bel bastone. Non immaginavo lo usasse…”

“Non lo uso. È qui come decorazione…”

“Chi glielo ha dato?”

Draghi non rispose. La raggiunse e le mise una mano sulla spalla: “Io lo regalo a lei. È il mio scettro. Segno della mia benedizione.”

La sua voce metallica non lasciava trasparire alcuna emozione, ma qualcosa nel modo in cui lo disse, le fece comunque capire che non stava scherzando.

“Si rivesta ora, onorevole Meloni… Ci sono un paio di cose di cui forse è bene parlare…”

Notes:

Ho corretto alcune cose nel capitolo precedente. Altra locandina sempre realizzata con l'IA